Amoris Astutia

Tanto, troppo è stato scritto sulla discussa (e discutibile) Esortazione apostolica Amoris Laetitia in questi mesi. Fiumi di parole, specie dalle due fazioni opposte, i “normalisti” (che insistono a sostenere che niente sia cambiato rispetto a prima, e allora non si capisce a cosa servono oltre 260 pagine di documento) ed i “novatori” (per cui con la scusa della pastorale cambia anche la dottrina, e per sempre), questi ultimi pure assurti (con compiacimento papale) al rango di unici interpreti e situati in posizioni chiave nelle varie Conferenze Episcopali e dicasteri. Tuttavia, non posso esimermi dall’esporre la mia opinione, come cattolico e come uomo.

E’ doverosa una premessa: come ho già scritto in passato, il Papa non ha il potere di cambiare la Dottrina (anzi, qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico, scomunicato de facto e non più degno di essere obbedito), di cui deve essere custode e non “innovatore”; allo stesso tempo, però, per il cattolico non è lecito apostatare dalla Santa Chiesa cattolica, né offendere il ruolo di Pietro o muovere critiche infondate e faziose. Se da una parte il presunto “divieto di critica” alla persona (ma non al ruolo) del Pontefice, di cui ora si ciancia molto in una sorta di nuovo culto della personalità che di cattolico non ha niente, non esiste e non esisterà mai, dall’altra parte azioni e parole del Papa non autorizzano ad alcuno scisma o ad abiurare la fede cattolica (la quale comprende anche la comunione e l’obbedienza al Papa ed al collegio episcopale).

Detto ciò, che cos’è “Amoris Laetitia”? E’ un documento inutilmente lungo e verboso, un testo che può essere vista in un modo o in un altro a seconda di chi lo legge (e lo deve applicare): da una parte conferma la Dottrina di sempre (e Bergoglio, che ben distinguo dalla carica di Pontefice, questo lo sa, e non potrebbe essere altrimenti pena la scomunica), dall’altra si presta a nuove interpretazioni riguardo alla Comunione alle persone in stato di peccato mortale e pubblico scandalo (specificatamente, ma non solo, a divorziati “risposati” e conviventi), che contrastano oggettivamente con quanto asserito nel Nuovo Testamento in materia di disciplina matrimoniale e del rapporto tra l’uomo e la donna. Peraltro, se qualcosa ho sempre ammirato della Chiesa è stata la brevità e la chiarezza dei documenti, anche quelli (fin troppo, ed ingiustamente, vituperati) del Concilio Vaticano II: in al massimo poche decine di pagine viene proclamato e ribadito tutto ciò che c’è da sapere (e da applicare) su un determinato argomento; non così questa Esortazione, lunga allo sfinimento e ricca di giri di parole appositamente per dire e non dire, non disfare (formalmente, il che giova a coloro che in futuro dovranno mettere a posto i pezzi in quell’ermeneutica della continuità tanto cara a Benedetto XVI) e disfare (come già hanno fatto a Bergamo e nelle Filippine).

Quindi, in sostanza, cosa deve fare il cattolico osservante in merito a questo controverso documento? Ignorarlo, dacché non aggiunge nulla di nuovo rispetto a prima (e quindi è sostanzialmente inutile, che forse è persino peggio dello scandalo), o leggerlo alla luce della Dottrina e della Tradizione: le altre opzioni non sono cristianamente percorribili, come non è cristianamente possibile ascoltare le interpretazioni date da certi “teologi” ultraprogressisti come mons. Forte e mons. Kasper.

Il Catechismo ai tempi di Benigni

Questo Santo Stefano è stato turbato, in maniera affatto misteriosa, dal “regalino” di Natale che la Rai (probabilmente Radiotelevisione Apostati Italiani più che semplice Radiotelevisione Italiana) ha voluto fare ai cattolici del Bel Paese: la replica (di cui non si sentiva affatto il bisogno) dei Dieci Comandamenti letti e commentati da Roberto Benigni.

Premetto che a me, Benigni, personalmente piace: nonostante la sua eterna polemica con la destra italiana, da comico schierato a favore di una certa corrente politica (fenomeno questo proprio però non solo dell’Italia) più che della risata, a me ha sempre fatto ridere. Sarà perché è toscano come me, credo, ed anche perché sicuramente non mi reputo al servizio di qualche particolare corrente politica e, per quanto io possa essere certamente qualificato come uomo di destra (non senza orgoglio da parte mia), mai m’è fregato qualcosa di difendere Berlusconi o i suoi: sempre di esseri umani si tratta, affatto avulsi al vizio ed alle piccinerie (come tutti gli altri uomini del resto). Anzi, per quanto mi riguarda la satira feroce nei confronti di certi personaggi era più che giustificata; il problema, però, è che il ficcare siparietti contro la destra italiana all’inizio degli spettacoli su Dante (tra l’altro che cosa c’entra un comico con Dante, ed ancor di più cosa c’entra l’Alighieri con la situazione politica italiana? Boh…), spettacoli pregni già allora di errori teologici ai limiti dell’eresia tra l’altro (come non ricordare la “bellezza” dello Spirito Santo ritenuto emanazione dell’inconscio umano e non, invece, Persona della Santissima Trinità?), a Benigni non bastava più: quello già lo fa tutta la folta scuderia di “comici” Rai, a partire da personaggi mediocri come Crozza e la Litizzetto che si sono fatti (loro sì) un’intera carriera offendendo i politici di certi schieramenti. No, per fare ascolti  e proporre dei temi “originali” bisogna andare su altro, prendere in giro qualche bersaglio di ben più alto livello rispetto a quattro parlamentari a cui, al netto delle ossessioni radicali e comuniste, non frega niente a nessuno: e cosa c’è di meglio se non attaccare la Chiesa cattolica, “rea” di non rispettare il testo biblico (come se poi il cristianesimo fosse una religione del libro, tra le altre cose) sui Dieci Comandamenti, leggendoli in modo troppo poco “letteralista” (su certi punti, ovviamente, non certo su altri)?

Dicevo, questo Santo Stefano è stato turbato per i commenti estasiati in famiglia a questo nuovo spettacolo, quando in realtà (avendo in casa una catechista) non sarebbe certo dovuta essere questa la reazione. Al che mi sono inalberato, dato che è privo di senso che chi si professa cattolico possa bersi quella roba, dato che 1) il parere di Benigni, con tutto il bene che gli si può volere, è a livello di quello di un privato cittadino, non certo di un catechista e men che meno di un teologo (a patto che questi, ovviamente, seguano la Santa Dottrina e non si mettano ad inventare cose “strane”); 2) nello spettacolo si propagandano messaggi dichiaratamente anticattolici. E’ finita che è stato risposto alle mie osservazioni dicendomi che ero soltanto un “burbero” e che comunque piaceva, al che mi è passata la fame e mi son levato dalle scatole ché non avevo voglia di mettermi a litigare con i miei parenti.

Ad ogni modo, vorrei prendere come spunto le affermazioni anticattoliche (ed in definitiva antibibliche, dacché non ha senso andare contro la Chiesa ignorando a bella posta il Nuovo Testamento, con cui la Sposa del Cristo rilegge il Vecchio) per commentarle assieme a voi; al di là delle parti più o meno valide, infatti, c’erano dei punti molto, molto oscuri e chiaramente polemici contro la Cattolica:

La vera bestemmia è fare violenza in nome di Dio (incluse ovviamente Crociate ed Inquisizione): sebbene la violenza ingiustificata sia effettivamente una blasfemia se fatta nel nome di Dio,  comunque sia rimane il fatto che la bestemmia non è soltanto questo, né che le Crociate e l’Inquisizione (romana suppongo, ché ne sono esistite diverse) si possano qualificare come tali. Infatti, le prime erano di principio (al netto di episodi come il sacco di Bisanzio, condannato infatti anche dal pontefice dell’epoca) guerre di difese dell’Occidente cristiano contro un Islam conquistatore e parecchio violento, l’altra una risposta alle eresie (tutto meno che pacifiche, contrariamente a quanto vuole la vulgata corrente) che flagellavano l’Europa nel XVI secolo. In ogni caso, è chiaro che la bestemmia non è limitata alla violenza in nome di Dio, bensì a tutto ciò che è odio e sfregio a Dio; purtroppo, Benigni pur di far polemica usa due pesi e due misure, quindi a volte “limita” i Comandamenti ad un significato esclusivamente letterale, in altri contesti invece li “amplia” (giustamente, vedasi la frode fiscale che sarebbe un furto come effettivamente è). Peraltro, lo stesso Benigni (da che mi ricordi) sembra “giustificare” in qualche modo la bestemmia come intercalare, quando in realtà anch’essa, fatta in modo inconsapevole o no, era e rimane comunque una blasfemia (e delle più stupide, peraltro, dato che offende il Creatore senza alcuna riflessione).

Dio nel Decalogo vieta che si facciano immagini Sue: vero in parte (in realtà  Esodo 20, 4 mai vieta esplicitamente che siano fatte immagini della divinità, ma solo “di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”), ma questo divieto (come risulta evidente dai versetti successivi) è primariamente contro il culto idolatrico, non certo contro le raffigurazioni di Dio in sé e per sé, ed in ogni caso decade con l’incarnazione del Cristo (che, in quanto Vero Uomo oltre che Vero Dio, può tranquillamente essere raffigurato). Purtroppo, sembra sottendere che le raffigurazioni di Dio nelle chiese siano blasfeme, ma non è affatto vero: blasfema è l’adorazione delle immagini, che la Chiesa difatti non adora ma venera (e non le stesse in quanto tali, ma ciò che rappresentano). Quindi, questa sottolineatura con tutto il contorno di sottintesi è sbagliata, dato che nessun cattolico adora (cioè rende culto) a delle immagini, nemmeno di Dio stesso, e qualora lo facesse comunque sia peccherebbe.

Santificare le feste non significa andare a Messa la Domenica. E qui si legge irrefutabilmente il desiderio di andare contro la Cattolica: se è vero che santificare le feste non è solo andare a Messa la Domenica, noi siamo tenuti a santificare tutte le feste di precetto andando a Messa perlomeno in quei giorni. La differenza è apparentemente sottile, ma sostanziale: nel primo caso sembra che non andando a Messa la Domenica si possano comunque sia santificare (in quale modo non si sa) le feste, nel secondo che per santificare certi giorni dell’anno è necessario andare in Chiesa a rendere culto a Dio. Se è vero che non basta andare a Messa solo la Domenica per santificare certi giorni dell’anno, comunque sia le feste di precetto si possono santificare e festeggiare degnamente solo partecipando alla Messa. Differenza apparentemente insignificante ma sostanziale tra il pensiero cattolico e quello protestante tra l’altro, da cui Benigni attinge fin troppo per il proprio spettacolo purtroppo.

Per il resto, che dire, scelte poco coraggiose e banali: non citazione dell’aborto e dell’eutanasia tra i peccati contro il V comandamento (“convertito” in una sorta di peccato imperdonabile, dato che l’ucciso non potrebbe più perdonare il suo assalitore, quando nulla è impossibile a Dio ed è Lui che perdona e lava primariamente le colpe, non gli uomini) e VI comandamento ridotto ad un mero “non cornificare tua moglie”, con la Chiesa dichiaratamente attaccata su questo (d’altronde, cosa c’è di più innovativo se non accusare la Chiesa di sessuofobia, senza nemmeno provare a capire le sue posizioni dottrinali?). In sostanza, la “colpa” della Chiesa sarebbe proporre una lettura catechistica di questo comandamento troppo restrittiva, senza comprendere che in realtà anzitutto il Cristo stesso amplia il senso del comandamento (e lo ripeto, attaccare la Chiesa ignorando il Cristo è intellettualmente disonesto, oltre che sciocco),  e poi che l’adulterio veterotestamentario aveva un significato in ogni caso più ampio del semplice “non cornificare tuo marito/tua moglie”. Sebbene il senso di questo comandamento (in Esodo perlomeno) fosse primariamente rivolto al preservare la fedeltà coniugale, questo non implica che riguardasse soltanto ciò, né è possibile commentarlo in senso cristiano (o anti-cristiano, in questo caso) senza considerare il Nuovo Testamento e l’insegnamento del Cristo (il quale dice esplicitamente che non è ciò che entra nell’uomo ma ciò che esce dal cuore dell’uomo a renderlo impuro).

Pertanto, un consiglio: se volete studiare e vivere i Dieci Comandamenti sulle tracce del Cristo non guardate lo spettacolo di Benigni, il quale sebbene per lo più dica cose corrette ha cadute di stile (con annesse gravi errori teologici e morali) che lo rendono decisamente mediocre ed inadatto a qualsivoglia catechesi. Sebbene sia certamente più impegnativo, meglio leggersi le omelie di Benedetto XVI sul tema, che sono anche certamente più autorevoli rispetto a quanto è andato in onda sulla Rai. La cosa triste è che la colpa, alla fine della fiera, non è neanche di Roberto Benigni e dela Rai, o almeno non soltanto, bensì da chi pensa che tali spettacoli televisivi siano più autorevoli del Magistero papale ed insegnino il Catechismo agli ignoranti, traendone così falsi insegnamenti.

Falsi monaci e falsi storici: Bose

Dopo il primo articolo, ecco il secondo inerente alla personalissima (e, come visto, molto discutibile) visione che Bianchi ha della Chiesa. Chiesa che assomiglia, come vedremo nei tratti generali, forse più ad una sorta di partito politico, con una Dottrina da vagliare alla luce dei tempi anziché il contrario, che non al Corpo Mistico del Cristo, come d’altra parte l’esperienza Bose insegna.

Già, Bose: non si può parlare di Bianchi senza parlare di questo ridente monastero (che, mi si perdonerà, anche in questo caso stento a definire tale, proprio perché non risulta da nessuna parte, a parte delle autoproclamazioni, che coloro che vi si trovano siano effettivamente monaci) a San Gimignano, nella mia Toscana, a poche decine di chilometri da Firenze. Non si può non parlare di Bose perché si tratta sicuramente di uno dei frutti più discutibili del pensiero bianchiano, nato a ridosso del Concilio Vaticano II e, soprattutto, di quel (mai abbastanza maledetto) “spirito del Concilio” che tanti danni ha fatto e continua a fare.

Prima di affrontare il discorso Bose, quindi, bisogna inquadrare il contesto in cui è stato fondato, cioè a ridosso del Concilio Vaticano II e della riforma del Messale. Senza voler fare qui il tradizionalista con il dente avvelenato “perché c’hanno tolto il latino” (cosa di cui onestamente m’importa poco), è un fatto che soprattutto in quegli anni (anche se gli strascichi virulenti e perniciosi si trascinano fino ad oggi) si impose una visione della Chiesa che vedeva nel Concilio una sorta di “libera tutti”, di metodo per proporre (ed imporre) le più bizzarre teorie teologiche, pastorali e liturgiche invocando che lo stesso Concilio aveva dato il via a tutto ciò. In realtà, non solo nei documenti del CV II non si accenna a questo, ma si ribadiscono elementi (per citare l’esegesi biblica e non soltanto la liturgia, ad esempio, il considerare i Vangeli come resoconti veri e fedeli della vita del Cristo) che sono sempre stati creduti e sostenuti dalla Chiesa. Non c’è alcuna rivoluzione in quei documenti, ed il lettore che colà la cercasse rimarrebbe certamente deluso; anzi, molti aspetti liturgici ed esegetici rimangono (giustamente) inalterati. Proprio nell’ottica di quella “ermeneutica della continuità”, più volte ribadita da Benedetto XVI, non c’è alcuna rottura con quanto asserito precedentemente dalla Sposa del Cristo.

Come fare, allora, ad imporre una visione di pensiero ai limiti dell’eterodossia (quando non la oltrepassa scadendo proprio nell’aperta eresia, penso ad esempio al cosiddetto “Catechismo olandese”)? Semplice: si ignora il Concilio Vaticano II e, invece di applicarlo, si impongono le proprie visioni su quanto sostenuto dai padri conciliari. Si inizia a sostenere che sì, nel documento tal dei tali si dice così, ma in realtà si voleva dire che… E giù ad imporre le proprie visioni distorte e ad applicare le proprie teorie, teorie che all’atto pratico hanno non solo creato una spaccatura profonda nel popolo di Dio, rendendo insopportabile ingiustamente il Concilio stesso ai cosiddetti “tradizionalisti”, ma hanno portato anche a degli effetti maligni (quali crollo delle vocazioni e delle devozioni popolari) che oggigiorno vediamo incontrovertibilmente. Chiariamoci: non è che prima del 1963 nella Chiesa fosse tutto rose e fiori, tanto che proprio per questo venne convocato il Concilio; tuttavia, è un fatto che invece che risolversi certi problemi si sono acuiti, e non tanto per delle cattive disposizioni del Concilio stesso bensì per colpa di coloro che, invece di applicare le norme conciliari in armonia con ciò che sempre ed in ogni dove si è creduto ed insegnato, hanno preferito sostituirsi ad esse in nome di uno “spirito del Concilio” che, in realtà, era semplicemente disobbedienza e prendere i moti del proprio cervello per moti del Cielo.

Ora, perché questa prefazione? Perché l’esperimento più riuscito di Bianchi, la comunità di Bose, nasce proprio da questo “spirito del Concilio” ed in un momento storico, il 1965, proprio a ridosso dal termine dei lavori per la riforma liturgica. Questo non è affatto un caso; siamo in un periodo (che continua, ripeto, ancora oggi, seppure attenuatosi almeno temporaneamente col pontificato di Benedetto XVI) di smarrimento liturgico e dottrinale. Smarrimento ben concretizzatosi, tra parentesi, dalla pubblicazione dell’eretico “Nuovo Catechismo Olandese” proprio nella seconda metà degli anni ’60, pubblicazione trovata eretica in 14 punti ed ambigua in una quarantina di altri. Il Nostro, tuttavia, non esime dal difendere tale pubblicazione a spada tratta proprio in occasione di un suo commento alla piaga della pedofilia olandese il 23 dicembre 2012 su “La Stampa”, con queste parole:

Come si possono collegare tali misfatti al “catechismo olandese”, opera a suo tempo criticata dalle autorità ecclesiastiche per alcune posizioni teologiche, ma non certo morali?

dimenticando di dire, però, che di quelle ambiguità segnalate dalla Curia una buona parte era proprio di origine morale; ma senza voler approfondire questo discorso, che pure meriterebbe un approfondimento in altra sede, bisogna quindi ricordarsi che si tratta di un’opera composta in un’epoca di smarrimento dottrinale e liturgico (e, quindi, infine morale ed etico), ma che Bianchi difende asserendo che

Ancora più improprio mi appare l’accostamento delle cifre spaventose di abusi all’immagine della Chiesa olandese così aperta e all’avanguardia nella ricezione del Concilio Vaticano II, quasi a lasciar intendere che il clima di rinnovamento di quella stagione e l’episcopato più conciliare abbiano influito al terribile degrado.

quando in realtà fu proprio la Chiesa olandese all’avanguardia nella non applicazione della norme conciliari nella continuità e, anzi, arrivò ad avallare la pubblicazione del “Catechismo” di cui sopra, vero manifesto programmatico dei desideri di distruzione e d’immoralità del clero nordeuropeo.

Tornando a Bose dopo questa necessaria premessa per capire da dove provenga e dove vuole andare, si tratta formalmente una sorta di monastero ecumenico; tuttavia, sempre almeno formalmente, è sotto giurisdizione della locale diocesi, e quindi dipendente dalla Chiesa cattolica. Eppure, se questo luogo ha una peculiarità, è proprio il rifiuto di ciò che appartiene propriamente alla tradizione cattolica: prova ne è, ad esempio, il Santissimo spostato in una cappella laterale, per “non offendere” i non cattolici (gesto, questo, che sa d’ipocrita rifiuto come nel caso di coloro che, dato che siamo sotto Natale, tolgono il Presepe per “non offendere” gli islamici, ma tant’è). Questi atti, in realtà, sono ricalcati pari pari sulle smanie olandesi e belghe, progressiste ed ultra-progressiste oltreché fallimentari ed ultra-fallimentari in una prospettiva storica, che da ormai cinquant’anni ammorbano ed hanno devastato certe chiese locali: in realtà la ricerca di un’approvazione da parte dell’autorità costituita non deve essere vista, a Bose ed in questi casi, come un sottomettersi con filiale obbedienza alle regole della Chiesa, bensì come un paravento ideologico per poi poter fare i propri porci comodi alla luce del giorno, senza temere reprimenda ufficiali (anzi, come già ho fatto notare Bose ha fin troppi legami con la CEI e fin troppo spesso Bianchi è portato sul palmo di mano da elementi che invece dovrebbero ammonirlo se non condannarlo) e tacciando di “disobbedienza” e “scisma” proprio coloro che fanno notare simili realtà. Esistono, infatti, fin troppe “libertà” che tale “monastero” ha assunto nei confronti non solo della Dottrina cattolica, ma anche della Chiesa stessa: per esempio, nota è la celebrazione di una sola Messa a settimana (sempre con la solita scusa del “rispetto per chi non ci crede”, ma allora che monastero è?), e pure è nota la presenza di un singolare “martirologio” all’interno della comunità, dove a fianco di (alcuni) santi cattolici sono affiancati elementi dell’immaginario politicamente corretto, a-cattolico o progressista come Buddha e Gandhi. E’ chiara l’assurdità di tale operazione, non fosse altro che l’ecumenismo può essere considerato solo una forma per ricondurre le “pecorelle cristiane” nell'”ovile” di Roma e non il contrario, mentre con le “pecorelle” di altre religioni è necessario il Battesimo e la predicazione, ma a parte questo, è da notare come si tratti di una realtà perfettamente politicamente corretta (Buddha e Gandhi, al netto di ciò che hanno realmente detto, scritto e creduto, sono figure stereotipate nell’immaginario occidentale radical-chic), quindi sostanzialmente inutile e priva di quel coraggio che gli si vorrebbe attribuire.

D’altra parte, il punto per Bose (e per Bianchi) è proprio questo: come abbiamo visto l’articolo precedente e come vedremo in futuro, la Chiesa non dovrebbe essere il Corpo Mistico del Cristo, deputato ad una missione ben precisa (la salvezza delle anime), bensì una sorta di grande partito politico, in cui possa confluire tutto ed il contrario di tutto. Il “martirologio ecumenico” di Bose mostra ben questo: l’importante per salvarsi non è credere ed essere battezzati (come dice il Cristo), bensì una sorta di vago (e vano) sentimentalismo: basta essere giusti agli occhi del mondo (il quale però è dominio di Satana, quindi la giustizia del mondo non è quella di Dio) per essere cristiani (ma come è possibile essere cristiani se non si crede, anzi proprio si nega il Nazareno?) e salvarsi, e chi se ne importa di Dio! E’, infine, sostituire il proprio giudizio a quello del Signore il grande peccato dietro tutta questa visione, piuttosto mondana (appunto) alla fine della fiera.

Le bestemmie per san Patrizio ed il politicamente corretto clericale

EDIT: in seguito a nuove informazioni, ho deciso di riscrivere da capo l’articolo postato ieri, così da fornire una analisi più precisa di quello che sta accadendo nella diocesi di New York e che, in un certo senso, è specchio della situazione europea. 

Sebbene sia passato un mese dalla festa di san Patrizio, patrono d’Irlanda e non solo, anzi forse proprio perché è passato così tanto tempo, è opportuno parlare di ciò che è accaduto oltreoceano, serenamente e cercando di non arrabbiarsi. Posso promettervi, miei lettori, che ci proverò.

Partiamo dal piccolo per arrivare al grande: la grande parata per il Saint Patrick’s Day (come lo chiamano gli anglofoni) di New York, parata quest’anno particolarmente scandalosa e che bene ha evidenziato un problema a livello gerarchico, già messo in evidenza dal Sinodo straordinario; cioè il piegarsi, con scarsità di coraggio e forse per ambizione, al politicamente corretto di certi esponenti della Chiesa americana. Prima, però, una premessa doverosa: la Cattolica, in quanto Corpo Mistico del Cristo, non solo è una, santa, cattolica ed apostolica, sempre e comunque, ma rappresenta anche la società perfetta, immagine in terra della gerarchia celeste. Ciò detto, i suoi membri possono eccome sbagliare, tutti noi pecchiamo, anche il Santo Padre: non credo però ci sia niente di scandaloso in questo, dato che si tratta della natura umana, conseguenza del Peccato Originale. La perfezione della Chiesa non deriva del resto dalla santità dei suoi singoli membri, bensì dalla promessa del Cristo, cioè che le porte degli Inferi non prevarranno su di Essa, fondata su Pietro e, di conseguenza, sui suoi successori. Detto questo, quindi, i suoi membri non solo possono sbagliare, ma anche peccare; anzi, tutti gli uomini peccano, tanto che solo il Nazareno e Sua Madre sono gli unici esseri a non aver commesso peccato nella storia dell’uomo. Tutti gli altri, anche i santi (i quali, proprio perché santi, insistono anzi tantissimo sul valore del sacramento della Confessione) sì. Quindi, cercare da una parte di essere puritani più che pudici, di negare il giusto diritto alla critica quando chi sta più in alto di noi (i cui errori ed i cui peccati, quindi, in ultima analisi hanno maggiore impatto tanto più in alto questi si trova nella gerarchia della Chiesa) devia dal seminato, non solo è sbagliato ma è molto poco cattolico: essere buoni cattolici non vuol dire essere ideologi, cercare di seguire le mode o, peggio, ignorare o piegare la Santa Dottrina al proprio volere; vuol dire osservarla ed esigere che coloro che ci guidano facciano lo stesso. Insomma, che coloro aventi il compito di guidarci verso il Regno dei Cieli riescano nel difficile compito di essere buone guide. Nascondere la critica legittima e la preghiera di riparazione per gli errori di chi è più in alto di noi per un pudore che, in realtà, è clericalismo, con la giustificazione del “non dare scandalo”, è sbagliato, non fosse perché i primi a dare scandalo sono proprio quei laici, diaconi, presbiteri e vescovi che fanno determinate cose. Come fare, in questi casi, quindi? Bisogna dire le cose in modo chiaro, pane al pane e vino al vino; bisogna pregare tanto, per noi e per chi sbaglia; bisogna, in ogni caso, non perdere la pazienza e lanciarsi in attacchi gratuiti e rabbiosi che, alla fine, trasformano chi li compie proprio in ciò che combatte.

E’ proprio in questa ottica che mi permetto di criticare le azioni (o meglio, l’assenza di azioni) compiute dal cardinale Timothy Dolan, il quale ha dato più volte prova di essere un autentico mastino della Chiesa cattolica in America. Talvolta il prelato ha dimostrato di fregarsene altamente anche di attirare le ire di progressisti e conservatori, andando persino contro il presidente degli Stati Uniti, nonché promotore di ogni schifezza (im)morale negli U.S.A., Barack Obama. Dicendo pane al pane e vino al vino, cioè che l’aborto è un assassinio e che i “matrimoni” gay sono scimmiottamenti della vera famiglia, quella eterosessuale. Verrebbe da dire: grande personaggio, lui si che non ha peli sulla lingua! E invece, purtroppo, non è del tutto vero.

Giorno di San Patrizio di quest’anno: la parata diviene una succursale del Gay Pride. Infatti le associazioni gay, che si contraddistinguono non solo in zozzoneria (vedasi i vari tentativi di sessualizzare bimbi di 4-5 anni e di propagandare empietà come uteri in affitto come assolutamente normali, non solo in America ma anche in Italia) ma anche in blasfemia, ottengono, finalmente e con loro grande soddisfazione, il piacere di insudiciare anche questo evento. Possono, con questo stratagemma, avere anche l’opportunità di offendere ripetutamente il santo, grande evangelizzatore degli irlandesi, dicendo che era gay. Sì, avete letto bene: i gay non solo hanno ottenuto, grazie al malefico potere del politicamente corretto e di una chiesa, quella americana, indebolita da molteplici scandali (spesso assolutamente falsi), di poter sfilare nella parata, ma hanno anche dichiarato che san Patrizio era gay come loro (sottinteso: altro che castità, questa è una leggenda della Chiesa medievale, bigotta ed oscurantista, ogni tanto lo dava e lo prendeva, ad altri membri dello stesso sesso per giunta). E cosa ha fatto il cardinale Dolan, dinanzi ad una simile blasfemia, che offende la memoria non solo di un grande santo ma anche della stessa Chiesa, in quanto va a calunniare un uomo che ha fatto tutto ciò che poteva per portare un’intera nazione al Cristo? Semplice: niente. Non ha detto una parola. Questi elementi, ringhiando parole ispirate loro direttamente dal Demonio (non c’è altra spiegazione per tutta la vicenda), non solo hanno letteralmente usato una parata durante una festa cattolica come trampolino di lancio per le loro rivendicazioni politiche, che non solo non appartengono alla Fede cattolica a cui aderiva il santo irlandese ma apertamente la osteggiano e la combattono, bensì hanno anche osato dire che il festeggiato era gay come loro, in tutto e per tutto. Politicamente corretto un paio di scatole: quando c’è da dire qualcosa su musulmani, gay e simili “categorie protette” sei automaticamente un porco conservatore, se questi offendono deliberatamente la Sposa del Cristo nessuno trova niente da ridire; ad ogni modo abbiamo avuto quindi, oltre allo sfruttamento sacrilego della festa cattolica come trampolino di lancio (e già questo è abbastanza grave di suo) per rivendicazioni di presunti “diritti” totalmente contrari al Magistero della Chiesa, anche offese al festeggiato, nel mutismo totale del card. Dolan e dei suoi. I quali hanno forse detto qualcosa quando le associazioni gay hanno, con prepotenza e per fini che tutto sono meno che la venerazione di san Patrizio ed ancor meno la loro conversione alla Santa Chiesa, chiesto di unirsi alla parata? No. Hanno protestato quando, temerari ed osceni, questi individui hanno anche offeso il santo dandogli del gay? No, il che è persino peggio. Soprattutto, è indice di quel mutamento di personalità (ammesso che lo sia realmente), oltre che di idee, di cui si parlava.

Si tratta di cambiamenti comportamentali dovuti al cambiamento di pontificato (e, quindi, a presunti cambiamenti dottrinali in seno alla Chiesa) oppure erano già cose che bollivano in pentola da tempo; soprattutto, cui prodest? In realtà, probabilmente, un misto tra le due cose, cioè poco coraggio nell’affrontare un tema così scottante per la società occidentale unito al vivere in un’epoca apparentemente segnata dai vari cardinali Kasper e Marx, impegnati a pontificare in ogni dove su problemi inesistenti, come le (mai esistite e che mai esisteranno, proprio in virtù del loro stato conclamato di pubblico scandalo che è ostacolo spirituale naturale) coppie di divorziati “risposati” o conviventi che vogliono tornare a ricevere la Santa Comunione, dove il Pontefice romano è (solo apparentemente) schierato con questa ala progressista, quando non ultra-progressista quando non apertamente eretica, della Chiesa, quando c’è un inquietante disinteresse verso la Santa Dottrina da parte anche di alcuni consacrati (figuriamoci, quindi, dei fedeli laici!)? E’ sempre il solito, classico, problema del clientelismo cattolico e del carrierismo, per cui esistono vere e proprie sacche di potere clericale che non solo fanno pressioni, cercando di trascinare la Chiesa sul proprio carrozzone per i propri interessi che non sono, spesso, neppure vagamente cattolici, ma anche che decidono loro chi diviene vescovo e chi no, chi diviene cardinale e chi no. Chiariamoci, non è che il Pontefice viene tagliato fuori da queste decisioni e che non abbia alcun potere in merito; solo, i candidati, da ratificare o meno, li propongono loro (anche perché il Papa non può, certamente, conoscere tutti i sacerdoti del mondo). E questo non da adesso, ma da sempre. Quindi, in realtà quella del card. Dolan non è nemmeno cattiveria: è scarsità di coraggio unita a simili spinte, perfettamente mondane. D’altra parte, già in passato, nonostante tutto, il porporato aveva dato prova di non spendere una parola contro coloro che pretendono di rimanere gay (quindi, omosessuali che continuano ad avere rapporti omoerotici e premono perché la Chiesa e la società accreditino loro fantomatici “diritti” che tali non sono) e di continuare ad accostarsi ai sacramenti; quindi, ciò che è accaduto non è altro che la fase finale di quella sindrome, cioè il politicamente corretto in salsa ecclesiale, che purtroppo ammorba diversi prelati (situati anche molto in alto) e che, in diversi casi, porta alla confusione ed alla discordia su argomenti che, invece, di suo sono chiarissimi. Questi moti “rivoluzionari”, che di rivoluzionario non hanno niente, questo manifesto mutismo che porta a non prendere posizione ed a favorire, in questo modo, i nemici di Dio e della Sua Sposa, porta soltanto a domandarsi : ma una pastorale rettamente intesa, cioè il guidare gli uomini al Signore tramite la Sua Chiesa, in tutto questo dov’è? Soprattutto, dov’è la custodia, la difesa e la propaganda della Santa Dottrina?

Dall’Ordine di Santa Maria della Mercede alle italiane liberate in Siria: storia di una caduta

L’epilogo della dolorosa vicenda riguardante le due giovani italiane, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rispettivamente di 21 e 20 anni, sequestrate dai ribelli islamisti siriani e poi liberate, non può non suscitare alcuni riflessioni: per quanto questa avvenimenti siano stati certamente tristi e terribili per le famiglie oltre che per le ragazze coinvolte, è innegabile che vi siano dei punti oscuri e quasi surreali che portano ad interrogarsi.

Appurato che un qualche genere di riscatto deve essere stato pagato, anche se non se ne conosce l’entità o la quantità (inizialmente, tuttavia, erano trapelate voci riguardo a 12 milioni di euro per entrambe), resta il fatto che costoro sono state liberate; ora, i loro carcerieri sicuramente non le avranno rilasciate in cambio di niente, sia perché sono state tenute in ostaggio per svariati mesi (ed avere ostaggi espone questi gruppi ad elevati rischi, in primis proprio quello dei tentativi di liberazione armata da parte di forze speciali, sicuramente meglio addestrate di loro), sia perché sono state catturate e non uccise proprio per avere un tornaconto nella loro guerra jihadista. Quindi, resta da appurare cosa sia stato dato loro in cambio: se non soldi, cosa? Armi? Prigionieri? In ogni caso, non essendoci stata alcuna operazione militare (almeno che si sappia), è segno che gli aguzzini islamisti devono avere ottenuto qualcosa in cambio. Il dubbio che attraversa l’Italia adesso, ad ogni modo, si può riassumere come: è stato lecito questo genere di scambio, qualunque cosa abbia riguardato, se denaro contante, armi o prigionieri, in ogni caso risorse che sicuramente hanno fatto gioco alla causa dei guerriglieri, personaggi che stanno rendendo la vita dei cristiani siriani ed iracheni un inferno?

A questo punto, viene spontaneo fare il paragone con l’Ordine di Santa Maria della Mercede, fondato da san Pietro Nolasco a Barcellona il 10 agosto del 1218: l’ordine nacque anch’esso in risposta alle incursioni islamiche nell’area mediterranea. Si occupava, infatti, di pagare il riscatto (la “mercede”) ai mercanti d’uomini mediorientali, riscattando così i prigionieri cristiani catturati durante le razzie dei predoni lungo le coste. Quindi, in buona sostanza, si può dire che indirettamente finanziassero quei commerci? Apparentemente sì, in realtà no: no perché agli schiavi liberati era chiesto in cambio di testimoniare a coloro che avevano versato la somma richiesta (spesso appartenenti a ricche ed influenti famiglie) le condizioni di vita e le circostanze della loro cattura. In altre parole, anzitutto era chiesto loro di certificare, per così dire, che il denaro speso per il loro riscatto fosse stato speso bene e, soprattutto, facendo prendere coscienza alle famiglie agiate ed al popolo dell’esistenza di un problema nel Mare Nostrum, problema che molti semplicemente ignoravano e che doveva essere risolto con le armi e con la preghiera, come alla fine in effetti accadde. In definitiva, tutto l’opposto rispetto al nostro mettere la testa sotto la sabbia dinanzi a certe responsabilità.

Poi, soprattutto, gli schiavi non erano stati resi tali per loro colpa: non erano andati a fare volontariato nei Paesi islamici mentre questi erano in guerra, né tantomeno avevano cercato di appoggiare cause rivoluzionarie contro governi più tolleranti fomentati da mass media; la loro unica colpa, se così vogliamo chiamarla, era quella di essere cristiani lungo le coste di un mare dominato dalla pirateria saracena. Questo non si può dire per le ragazze: intendiamoci, l’essere rapite da macellai che non si fanno scrupolo di massacrare cristiani e yezidi indifesi è già di suo motivo sufficiente per rendere necessaria la liberazione. Tuttavia, ciò non toglie che anzitutto non si tratta di due eroine, dal momento che desideravano spontaneamente andare ad aiutare la causa rivoluzionaria (anche se bisogna dire in loro difesa che ciò avveniva quando ancora i mass media, bugiardi ed asserviti, la presentavano come la lotta del popolo oppresso contro un tiranno sanguinario, fintamente dimentichi di cosa abbia voluto dire il crollo dei regimi per le minoranze etniche e religiose nei paesi del Magreb); inoltre, a loro non sarà chiesto di testimoniare niente, o ben poco, certamente facendo tutte le attenuanti ed i distinguo del mondo per placare l’opinione pubblica e, magari, fare un po’ di propaganda terzomondista da due soldi: tutto alla fine cadrà nel dimenticatoio e sarà diluito nella melassa del politicamente corretto.

Già, perché questo è quello che sta accadendo: ora che le ragazze hanno potuto riabbracciare la propria famiglia (a cui sorge spontaneo porre la fatidica domanda: perché hanno permesso a delle parenti poco più che maggiorenni di andare in un Paese in stato di guerra attiva?), i terroristi hanno avuto ciò che volevano (che si trattasse di denaro o di altro, forse più congeniale alla loro causa) ed il governo italiano ha rimediato l’ennesima figuraccia, essendosi guadagnato (e non a torto) l’epiteto infamante di collaborazionismo nei confronti del terrorismo islamico, queste stanno velocemente sparendo dai media, impegnati in altre campagne, dopo che sono stati fatti mille distinguo riguardo ai fondamentalisti ed all’ISIS, al divario tra “moderati” e “radicali” e così via. Le solite chiacchiere, insomma. Alla fine della fiera la testimonianza, nuda e cruda, è proibita proprio perché non devono riferire tutto ciò che hanno passato e, soprattutto, qual è stato il prezzo della loro liberazione; o meglio, magari sarà loro concesso (ed è già stato fatto) ma alle regole del politicamente corretto: sbattute in prima pagina per un paio di giorni per poi essere velocemente dimenticate e stritolate fra gli ingranaggi dell’opinione pubblica. Divenendo, quindi, irrilevanti e funzionali ad una politica estera che affonda le sue radici in un voltarsi dall’altra parte ed in un buonismo peloso sinceramente vergognosi.

In buona sostanza, quindi, tutti hanno avuto ciò che volevano, tranne coloro che sono realmente perseguitati, quelli per cui i mercedari avrebbero davvero, e volentieri, pagato: i cristiani che vivono sotto il giogo e la tirannia di questi squadroni della morte islamici, rei di professare una religione diversa da quella, fanatica ed estremizzata, dei loro carnefici. Cristiani, spesso, che hanno un bisogno disperato di uomini, armi, vettovaglie e sostegno, anche e soprattutto spirituale oltre che tattico e popolare; tutte cose che invece gli aggressori di fasulli califfati hanno in abbondanza, grazie al controllo dei pozzi petroliferi nella regione, da cui scaturisce il greggio di cui l’Occidente ha una sempre più disperata dipendenza. Purtroppo, finché i media taceranno e sembreranno quasi accusare cristiani e yezidi di essere causa del proprio male, privandoli proprio di quel supporto di cui hanno assolutamente bisogno, e gli alti prelati occidentali non manderanno un forte invito all’autodifesa ed alla protezione dei luoghi santi e dei fratelli nella fede orientali (come avvenne ai tempi delle Crociate, per inciso), l’ISIS, al-Qaeda e loro epitomi avranno già vinto, lasciandosi alle spalle un mare di sangue che, alla fine,inghiottirà anche noi.

La Gay-TV: come riuscire a rendersi insopportabili

Qualche settimana fa, mentre stavo seduto sul divano, mi sono messo a cambiare canale sul televisore, alla ricerca di qualche sit-com o di qualche film, magari anche trash, che potesse aiutarmi a passare il pomeriggio. Mentre scorrevo i canali di una nota azienda di TV satellitare alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfarmi, mi si sono parati davanti agli occhi non uno ma ben due spettacoli televisivi che definire di cattivo gusto credo sia riduttivo: dei veri e propri crogioli di tutto ciò che il politicamente corretto americano può riuscire a produrre, riuscendo persino a risultare odiosi nella loro esagerazione e pesantezza. Programmi di cui non riesco a spiegarmi il successo, ed il cui successo anzi fa molto riflettere. Ma andiamo con ordine.

Nella prima serie televisiva una coppia di maschi gay decide di avere un figlio (desiderio, ho scoperto poi, derivato dalla voglia di “giocare al papà” di uno dei due, che ha visto un pupo in carrozzina e ha da lì desiderato averne uno, nemmeno fosse un cane); ovviamente, la natura si oppone al loro desiderio, quindi come aggirare la cosa? Semplice: mettendo incinta (con una bella miscela dello sperma dei due, ovviamente) una mamma single e più che pronta ad accettare la cosa. Come se non bastasse, la nonna di lei (l’unica, evidentemente, con ancora un po’ di buonsenso) si oppone alla cosa, finendo con l’essere tratteggiata come una macchietta: ovviamente è repubblicana, ovviamente è “omofoba” (qualsiasi cosa voglia dire), ovviamente è cristiana, ovviamente è un’impicciona, ovviamente è un po’ strana.

Nella seconda, invece, assistiamo ad uno squallido quadro familiare allargato, in cui tutti sono reduci di almeno un matrimonio (a parte i minorenni e la coppietta omosessuale, ovviamente) per cui il fratello di qualcuno è gay e si è “sposato” (diciamo così) con un altro gay, ed ovviamente hanno adottato una piccola. Grazie a Dio, almeno stavolta sembra che non siano venute certe pulsioni osservando qualche bimbo in carrozzina.

Tralasciando il dubbio gusto di entrambe le trasmissioni, che trattano con superficialità e come fonti di comicità, da sbattere in prima serata per il ludibrio degli spettatori, cose come gli uteri in affitto e le adozioni omosessuali, ciò che stupisce sono proprio i gay per come vengono caratterizzati e presentati.

Ora, l’intento di queste serie televisive, provenienti tra l’altro dalla patria del politicamente corretto, è chiaramente elogiativo: si mira a presentare le coppie gay “sposate” come normali, magari anche moralmente superiori a quelle etero (prova ne è l’ultima serie televisiva, dove l’unica coppia stabile, guarda caso, è quella omosessuale) e vessate dagli “omofobi” bianchi, cristiani e cattivi; tuttavia, ho trovato stranamente disturbante come si arrivi all’esatto opposto, cioè che dopo la visione di un solo episodio si arrivi a detestare, più di tutti, proprio i personaggi appartenenti all’altra sponda.

Sono, infatti, sempre coppie dove un effeminato si unisce con uno più mascolino; e non effeminato per modo di dire, proprio effeminato con movenze pseudo-femminili, vocetta zuccherosa, passione per i travestimenti e le feste, ovviamente queste ultime effettuate con tutto il lusso possibile. Questo, forse, potrebbe intenerire lo spettatore americano medio, almeno nella mente dei registi ideologi che hanno progettato il tutto; in realtà disgusta, rende insopportabili e falsi proprio coloro che, in queste serie, sono i più tutelati e perfetti sotto ogni aspetto. Personaggi untuosi e poco maschili, che fanno moine per ogni minima cosa e che pensano che tutto sia un loro diritto, ricchi sfondati e che non si fanno scrupolo di cercare di “convertire” chi sta loro appresso, se osa anche solo disapprovare ciò che fanno, alla loro gaiezza. Degli elementi, insomma, a cui non farei avvicinare mio figlio, figuriamoci permettere loro di adottare un bambino!

Se io fossi gay, disapproverei proprio questi spettacoli e mi arrabbierei tremendamente contro chi li produce: tralasciando il fatto che, proprio in nome del politicamente corretto di cui sopra, ormai in ogni telefilm proveniente dalle Americhe deve essere presente almeno un omosessuale, cosa ormai stancante e ripetitiva che ha portato al proliferare di personaggi di basso spessore e, spesso, promiscui, mi arrabbierei a morte con chi cercherebbe di presentarmi come un effeminato, un debole, un ricco viziato che vuole solo avere il bambolotto con cui giocare, non un figlio (che intrinsecamente d’altro canto non può proprio avere) bensì un pupazzo da esibire con orgoglio. Io, se dovessi essere accostato a simili personaggi, a “zietti” untuosi di quella risma, ed a simili contesti familiari non dico semplicemente eterodossi, ma proprio terribili (divorzi multipli, madri single abbandonate da tutti meno che dalla propria nonna) mi offenderei in maniera tremenda; e mi arrabbierei proprio perché questo spaccato di gaiezza, che poi sarebbe quello sbandierato orgogliosamente da certe associazioni “di bandiera” (vedasi i Gay-pride, ad esempio, per farsi un’idea), mi lederebbe nel mio essere uomo o donna a prescindere dall’essere omosessuale e mi dipingerebbe come un essere voluttuoso, che vuole a tutti i costi il giocattolo nuovo, infischiandosene di chi rimarrà danneggiato dai suoi desideri (il bambino) e con il compiacimento di (quasi) tutti gli etero che lo circondano.

I quali sono ancora peggiori rispetto alle coppie gay stesse: in nome di un buonismo insopportabile e di un politicamente corretto intollerabile, nessuno osa dire niente ai nuovi intoccabili, anzi tutti fanno a gara per dimostrarsi più “tolleranti” ed “accoglienti” nei loro confronti, soprassedendo su come si sono procurati i loro figli (utero in affitto nel primo caso, adozione illecita nel secondo), beandosi di come i loro parenti, o amici, si sono fatti anche loro una famiglia, chiaramente senza “l’altra metà del cielo”; famiglia che però non risulta un simulacro di quella vera più delle altre, perché anche quelle degli stessi eterosessuali che li circondano sono fasulle e fintamente felici, con divorzi e tradimenti perpetrati da parte di tutti ai danni di tutti gli altri. Chi osa opporsi (e, magari, ha una sola famiglia normale alle spalle, senza divorzi e senza compagni/e dello stesso sesso) è velocemente ridicolizzato, ridotto a macchietta e bollato dell’infamia di essere “omofobo”; o meglio, queste sarebbero le intenzioni di registi, sceneggiatori e produttori.

In realtà, spesso queste figure, per quanto siano delle macchiette, per quanto siano fasulle e per quanto ci si sforzi di renderle assolutamente minoritarie ed antagonistiche, risultano ben più simpatiche e bene accette rispetto sia agli omosessuali che agli etero gay friendly stessi, almeno ai miei occhi. Gente che almeno ha il pregio di non cedere all’ipocrita buonismo e di inchinarsi supinamente dinanzi alle voglie dei propri conoscenti, ma che  invece esprime le proprie perplessità ed i propri dubbi, quando non proprio la sua riprovazione. In tutta quella melassa politicamente corretta alla fine proprio l’untore del XXI secolo, l’ “omofobo”, risulta essere quasi eroico nella sua normalità, in maniera esattamente contraria a quella desiderata da chi, con queste produzioni, ci campa.

Pertanto, cari gay, permettete che un maschio etero e cattolico vi dia un piccolo consiglio: non fatevi rappresentare da questa gente. Almeno, se avete un po’ di amor proprio, protestate, reagite, pretendete dei distinguo; e non per rendere queste serie ancora più viscide e mielose, ma proprio per eliminarle, perché non vi fanno affatto onore.

La preghiera dei fedeli, o anche delle chiacchiere

Chiunque vada a Messa la domenica sa che c’è un momento della celebrazione in cui, inevitabilmente e senza che ci sia quasi antidoto, l’attenzione scema, le palpebre calano e la mente vaga verso lidi inesplorati. Non ha alcuna importanza se la celebrazione è stata presieduta dal più grande biblista del mondo o dal sacerdote più carismatico della Terra, o anche dal Pontefice in persona: senza eccezione alcuna, anzi con così poche eccezioni da destare scalpore quando avvengono, ecco che perviene il momento più noioso, quello che non solo non ti aiuta ad entrare nel mistero del Sacrificio eucaristico ma che, anzi, sembra invogliarti ad uscire pensando ai fatti tuoi; si tratta della famigerata preghiera dei fedeli.

Premesso che considero la Santa Messa la fonte ed il culmine della vita cristiana, proprio perché in essa è celebrata la Santa Eucarestia (Essa stessa il vero culmen et fons), e che anzi sarebbe bene per il cristiano andare a Messa quando può, non solo la domenica, resta il fatto che la preghiera dei fedeli è uno dei momenti meno incitanti il raccoglimento e la preghiera della santa liturgia, paradossalmente. E lo è perché sembra un comizio politico, che ben poco c’entra col Vangelo. Leggiamo quello che si è ascoltato oggi tra i banchi, da disposizioni ufficiali CEI:

1. Per la Chiesa che oggi celebra la Giornata Mondiale per i migranti e i rifugiati, affinché sia riservata a loro una accoglienza appropriata alla dignità umana, nel rispetto della sicurezza reciproca e della legalità, preghiamo.

2. Per i cristiani: perché in questa giornata del migrante e del rifugiato, sempre di più siamo motivati ad accogliere, aiutare queste persone spesso perseguitate per la loro fede, a livello personale e comunitario, preghiamo.

3. Per i malati e i sofferenti nel corpo e nello spirito: perché anch’essi rispondano prontamente alla chiamata a saper patire e offrire se stessi con Cristo, medico delle anime e dei corpi, preghiamo.

4. Per la nostra comunità parrocchiale, che, di domenica in domenica, ascolta la parola di Dio: perché tale parola la tocchi in profondità, portandola ad interrogarsi sul valore della nostra esistenza, preghiamo.

Non c’è qualcosa di strano? La parola “Cristo” compare solo nella terza strofa, e non c’è uno straccio di riferimento a Dio nelle prime due! Se uno, senza sapere di cosa si parla, lo leggesse e gli si chiedesse che cosa ha capito, cioè chi procede da chi e chi precede chi in ordine di importanza, risponderebbe sicuramente: prima la Chiesa, poi la Giornata per i migranti, poi il Cristo e, quindi Dio. Praticamente, quasi tutto il contrario di quello che sarebbe l’ordine giusto.

Poi, c’è da notare il linguaggio: politichese allo stato puro. Non solo è noioso, simile più ad un discorsetto scritto in fretta e furia che non al prodotto di una profonda meditazione, ma non assomiglia neanche lontanamente al linguaggio evangelico da cui, invece, dovrebbe trarre ispirazione. Nei Vangeli il Cristo si rivolge sempre al suo auditorio con termini molto concreti, razionali: non usa mai parole come “accoglienza”, “dignità”, “sicurezza reciproca”, “legalità”. Non perché queste non siano cose giuste e doverose, intendiamoci, ma perché il linguaggio del Signore è pulito, semplice, concreto, privo di ambiguità; tocca il cuore e si fa capire da tutti, anche da chi non ha un master in politichese. Parla di pane, di vino, di dare il mantello a chi è nudo, di consolare gli afflitti: tutte cose umane nella loro accezione più alta, tutte cose immediatamente comprensibili a chiunque, dal professore universitario con tre lauree, due dottorati ed un master come pure al bambino delle favelas brasiliane; tutte cose, però, comunque sia non banali e che, anzi, richiedono impegno e costanza.

Invece, andiamo ad esaminare il linguaggio della preghiera dei fedeli di oggi (ma potrebbe anche essere quella della settimana scorsa, o di quella prima ancora o di quella che verrà): tanti termini teorici e che richiedono poco o nessun impegno personale. Non c’è un coinvolgimento emotivo e spirituale, men che meno pratico, solo formulette che potrebbero essere state tratte da un qualche comizio di questo o quel politico. Non c’è niente di reale, di concreto: si parla di Giornata Mondiale dei migranti (e sull’opportunità della Chiesa di celebrare certe giornate tornerò in un prossimo articolo), di cristiani, di accoglienza, di dignità, di accoglienza a livello personale e comunitario, di generici malati e sofferenti, di comunità parrocchiale. Niente che tocchi nell’orgoglio il cristiano, che scuota dalla propria ignavia, che coinvolga personalmente il singolo. Esattamente il contrario di ciò che dice invece il Cristo, il quale ti guarda negli occhi e dice in ogni sua parola, in ogni suo atto, “tu per me sei importante; vieni e vedrai, te lo dimostrerò”. E non un “tu” retorico, per cui potrebbe essere Luca o Gian Paolo o Mattia, o una generica comunità cristiana e non farebbe alcuna differenza: no, parla proprio a me, Antonio, e di me. Che parli anche ad altri è secondario, il Cristo si concentra alla stessa maniera su tutti, perché siamo tutti importanti per Lui; non gliene frega niente di una generica “comunità parrocchiale”, gli importa delle singole persone, di come si rapportano con Lui e di come seguono le Sue parole.

Non dice che “devi saper patire e offrire te stesso con Cristo”, ma dice “guarda, patisco come stai patendo te adesso, sulla Croce su cui sono salito anche per te; se io ce l’ho fatta ce la puoi fare anche tu, perché ti amo e ho dato la mia vita per te”. Non dice “la mia Parola ti tocchi in profondità, perché ti porti ad interrogarti sul valore della tua esistenza”, bensì dice “se mi ami osserva la mia Parola, la mia Parola è vita, è acqua viva”. Non spreca parole, il Signore: ti tocca nel cuore, ti rimanda all’Essenziale, Essenziale che, alla fine, è Lui stesso.

Alla fine della fiera i risultati di questa mitragliata di termini, un po’ frastornanti, un po’ noiosi, un po’ in politichese stretto, sono sotto gli occhi di tutti: chiedete alle persone in uscita dalla Santa Messa cosa si ricordano, cosa le ha colpite. C’è chi vi risponderà il Vangelo, chi l’omelia (se il celebrante è stato bravo), chi la consacrazione; ma nessuno si ricorderà della preghiera dei fedeli, né tanto meno la citerà come momento importante della funzione. E’ più facile che citino come momento importante e toccante della funzione il Padre Nostro (non a caso essendo stato proclamato dal Cristo stesso) anziché una serie di formulette vuote. Confesso che anche io, appena pronunciate le risposte, mi dimentico in maniera praticamente istantanea ciò per cui ho appena pregato; perché, indipendentemente dalla concentrazione e dalla buona volontà, si tratta di cose vuote. Di chiacchiere.

Già, perché queste sono spesso le intenzioni nella preghiera dei fedeli: chiacchiere. Cose vuote che, una volta pronunciate, non richiedono impegno, non richiedono coinvolgimento e che non ti smuovono neppure di un millimetro dalla tua piccineria; semplici formulette che spariscono dalla mente, e dal cuore, non appena è stata data la stanca risposta, in attesa di passare alla liturgia eucaristica vera e propria. Non c’è raccoglimento, non c’è una vera preghiera, non c’è un linguaggio veramente evangelico; anche profondo, anche paolino può essere il linguaggio nel Nuovo Testamento e degli uomini di Dio, duro spesso, ma se ha una peculiarità è che non è noioso. Scandalizza, fa discutere, tocca, consola, infastidisce, talvolta pure suscita repulsione, oggi come duemila anni fa, ma non è mai, mai noioso. Soprattutto, non si dimentica facilmente, perché parla a te e di te; non di una generica “comunità parrocchiale”, che non richiede alcun coinvolgimento e che non dà alcun fastidio, perché “tanto se ne occuperà qualcun altro”, ma ti tocca nel profondo, ti spinge a cambiare, a volgerti verso il Signore, a convertirti insomma.

Quindi, carissimi nostri pastori, io vi invito, se non ad eliminare la preghiera dei fedeli, almeno a revisionarla; per carità, non a lasciarla interamente ai nostri laici o sacerdoti, i quali sarebbero capaci, perlomeno alcuni di essi, di proclamare degli scempi dal pulpito (e alcuni già lo fanno), magari dei veri e propri comizi politici, bensì a riportarla davvero al Vangelo, all’Essenziale. Magari parafrasate la Scrittura, o meglio ancora riproponete le preghiere dei grandi santi: ce ne sono a migliaia tra cui scegliere, ed anche essi non sono mai noiosi. Lunghi, magari, ed impegnativi, però certamente non fastidiosi e soporiferi. Ma per favore fatevi capire senza tanti giri di parole, ché a cercare di essere politicamente corretti e moderni finite solo per causare noia e distrazione tra il popolo di Dio che cerca di seguire la Santa Messa.