Amoris Astutia

Tanto, troppo è stato scritto sulla discussa (e discutibile) Esortazione apostolica Amoris Laetitia in questi mesi. Fiumi di parole, specie dalle due fazioni opposte, i “normalisti” (che insistono a sostenere che niente sia cambiato rispetto a prima, e allora non si capisce a cosa servono oltre 260 pagine di documento) ed i “novatori” (per cui con la scusa della pastorale cambia anche la dottrina, e per sempre), questi ultimi pure assurti (con compiacimento papale) al rango di unici interpreti e situati in posizioni chiave nelle varie Conferenze Episcopali e dicasteri. Tuttavia, non posso esimermi dall’esporre la mia opinione, come cattolico e come uomo.

E’ doverosa una premessa: come ho già scritto in passato, il Papa non ha il potere di cambiare la Dottrina (anzi, qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico, scomunicato de facto e non più degno di essere obbedito), di cui deve essere custode e non “innovatore”; allo stesso tempo, però, per il cattolico non è lecito apostatare dalla Santa Chiesa cattolica, né offendere il ruolo di Pietro o muovere critiche infondate e faziose. Se da una parte il presunto “divieto di critica” alla persona (ma non al ruolo) del Pontefice, di cui ora si ciancia molto in una sorta di nuovo culto della personalità che di cattolico non ha niente, non esiste e non esisterà mai, dall’altra parte azioni e parole del Papa non autorizzano ad alcuno scisma o ad abiurare la fede cattolica (la quale comprende anche la comunione e l’obbedienza al Papa ed al collegio episcopale).

Detto ciò, che cos’è “Amoris Laetitia”? E’ un documento inutilmente lungo e verboso, un testo che può essere vista in un modo o in un altro a seconda di chi lo legge (e lo deve applicare): da una parte conferma la Dottrina di sempre (e Bergoglio, che ben distinguo dalla carica di Pontefice, questo lo sa, e non potrebbe essere altrimenti pena la scomunica), dall’altra si presta a nuove interpretazioni riguardo alla Comunione alle persone in stato di peccato mortale e pubblico scandalo (specificatamente, ma non solo, a divorziati “risposati” e conviventi), che contrastano oggettivamente con quanto asserito nel Nuovo Testamento in materia di disciplina matrimoniale e del rapporto tra l’uomo e la donna. Peraltro, se qualcosa ho sempre ammirato della Chiesa è stata la brevità e la chiarezza dei documenti, anche quelli (fin troppo, ed ingiustamente, vituperati) del Concilio Vaticano II: in al massimo poche decine di pagine viene proclamato e ribadito tutto ciò che c’è da sapere (e da applicare) su un determinato argomento; non così questa Esortazione, lunga allo sfinimento e ricca di giri di parole appositamente per dire e non dire, non disfare (formalmente, il che giova a coloro che in futuro dovranno mettere a posto i pezzi in quell’ermeneutica della continuità tanto cara a Benedetto XVI) e disfare (come già hanno fatto a Bergamo e nelle Filippine).

Quindi, in sostanza, cosa deve fare il cattolico osservante in merito a questo controverso documento? Ignorarlo, dacché non aggiunge nulla di nuovo rispetto a prima (e quindi è sostanzialmente inutile, che forse è persino peggio dello scandalo), o leggerlo alla luce della Dottrina e della Tradizione: le altre opzioni non sono cristianamente percorribili, come non è cristianamente possibile ascoltare le interpretazioni date da certi “teologi” ultraprogressisti come mons. Forte e mons. Kasper.