Se questa è una chiesa

In questi giorni è stato assegnato il premio “Frate Sole” alla più bella nuova chiesa del mondo. Ecco cosa ha vinto, la Iglesia de Iesu di San Sebastián.

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Praticamente un palazzetto dello sport; a seguire abbiamo la parrocchia di Ka Don in Vietnam, in sostanza una Spa.

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E per finire questo triathlon degli edifici che sono arrivati in cima alla classifica (senza vincere però tale “prestigioso” premio), ecco la chiesa della Santa Trinità di Lipsia, cioè un centro commerciale.

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Ora, se all’interno di questi edifici non fosse custodito il Santissimo, si potrebbero qualificare come chiese? A mio avviso niente affatto, non fosse perché manca una cosa importantissima: qualsiasi tratto che le identifichi come chiese cattoliche! Niente croce esternamente od alcun simbolo cristiano (per l’ipocrita principio di “non offendere chi non crede”, quando chi vuole ciò spesso è lui per primo a non credere), niente pianta tradizionalmente associata ad essa (sia ottagonale, a croce latina o a croce greca), niente affreschi, statue od altro che hanno reso grande l’arte cristiana occidentale. Solo dei tristi palazzetti, frutto probabilmente del desiderio di morte e di dissoluzione di certe chiese locali, che danno in mano ad apostati e non credenti la costruzione di luoghi che dovrebbero essere belli, e dovrebbero essere belli proprio perché dovrebbero incoraggiare alla fede. Questi luoghi, progettati e costruiti così, manco sarebbero usati come edifici civili (specie l’ultimo, che sarebbe osceno anche come magazzino); eppure, certo clero autorizza la costruzione di tali obbrobri religiosi, e certo clero li premia pure! Queste costruzioni sono, d’altro canto, il sintomo della perdita di fede e della generale apostasia che sta vivendo la Chiesa: l’arte sacra scaturisce dalla fede, quindi se non c’è fede non può esistere arte sacra degna di questo nome. Nessuno dice che, nel XXI secolo, le chiese vadano costruite come nell’XI: solo che andrebbero rispettati certi canoni, alla ricerca di un bello che educhi ed innalzi il fedele a Dio e non che sia fine a sé stesso (cosa che qui non esiste neanche), usando magari materiali moderni ma non tradendo l’arte sacra. Perché, sfido chiunque in giro per tali luoghi, a riconoscere a colpo d’occhio che tali edifici siano luoghi di culto cattolici.

Amoris Astutia

Tanto, troppo è stato scritto sulla discussa (e discutibile) Esortazione apostolica Amoris Laetitia in questi mesi. Fiumi di parole, specie dalle due fazioni opposte, i “normalisti” (che insistono a sostenere che niente sia cambiato rispetto a prima, e allora non si capisce a cosa servono oltre 260 pagine di documento) ed i “novatori” (per cui con la scusa della pastorale cambia anche la dottrina, e per sempre), questi ultimi pure assurti (con compiacimento papale) al rango di unici interpreti e situati in posizioni chiave nelle varie Conferenze Episcopali e dicasteri. Tuttavia, non posso esimermi dall’esporre la mia opinione, come cattolico e come uomo.

E’ doverosa una premessa: come ho già scritto in passato, il Papa non ha il potere di cambiare la Dottrina (anzi, qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico, scomunicato de facto e non più degno di essere obbedito), di cui deve essere custode e non “innovatore”; allo stesso tempo, però, per il cattolico non è lecito apostatare dalla Santa Chiesa cattolica, né offendere il ruolo di Pietro o muovere critiche infondate e faziose. Se da una parte il presunto “divieto di critica” alla persona (ma non al ruolo) del Pontefice, di cui ora si ciancia molto in una sorta di nuovo culto della personalità che di cattolico non ha niente, non esiste e non esisterà mai, dall’altra parte azioni e parole del Papa non autorizzano ad alcuno scisma o ad abiurare la fede cattolica (la quale comprende anche la comunione e l’obbedienza al Papa ed al collegio episcopale).

Detto ciò, che cos’è “Amoris Laetitia”? E’ un documento inutilmente lungo e verboso, un testo che può essere vista in un modo o in un altro a seconda di chi lo legge (e lo deve applicare): da una parte conferma la Dottrina di sempre (e Bergoglio, che ben distinguo dalla carica di Pontefice, questo lo sa, e non potrebbe essere altrimenti pena la scomunica), dall’altra si presta a nuove interpretazioni riguardo alla Comunione alle persone in stato di peccato mortale e pubblico scandalo (specificatamente, ma non solo, a divorziati “risposati” e conviventi), che contrastano oggettivamente con quanto asserito nel Nuovo Testamento in materia di disciplina matrimoniale e del rapporto tra l’uomo e la donna. Peraltro, se qualcosa ho sempre ammirato della Chiesa è stata la brevità e la chiarezza dei documenti, anche quelli (fin troppo, ed ingiustamente, vituperati) del Concilio Vaticano II: in al massimo poche decine di pagine viene proclamato e ribadito tutto ciò che c’è da sapere (e da applicare) su un determinato argomento; non così questa Esortazione, lunga allo sfinimento e ricca di giri di parole appositamente per dire e non dire, non disfare (formalmente, il che giova a coloro che in futuro dovranno mettere a posto i pezzi in quell’ermeneutica della continuità tanto cara a Benedetto XVI) e disfare (come già hanno fatto a Bergamo e nelle Filippine).

Quindi, in sostanza, cosa deve fare il cattolico osservante in merito a questo controverso documento? Ignorarlo, dacché non aggiunge nulla di nuovo rispetto a prima (e quindi è sostanzialmente inutile, che forse è persino peggio dello scandalo), o leggerlo alla luce della Dottrina e della Tradizione: le altre opzioni non sono cristianamente percorribili, come non è cristianamente possibile ascoltare le interpretazioni date da certi “teologi” ultraprogressisti come mons. Forte e mons. Kasper.

Conversazione con un giovane comunista

Cronaca di un evento appena accaduto.

Ero a lavare i piatti in cucina, quando sento suonare il campanello. Purtroppo, la finestra di cucina si affaccia sulla porta, quindi nello sporgermi per vedere chi suona non posso fare a meno di essere notato: si tratta di un ragazzo, con un enorme fascio di giornali, che mi vede e mi saluta. Sale rapidamente il giramento di scatole: si tratta del commesso di “Lotta Comunista”, giornale che mio padre si ostina a comprare, senza però nemmeno leggerlo e senza partecipare ai loro incontri (e non incappando nella scomunica quindi). Credo che lo faccia più per una sorta di imprinting, dovuto al tradizionale colore rosso della mia terra natia, o forse per un senso di tenerezza nei confronti di questi avanzi del XIX secolo, che nonostante la loro avversione al cristianesimo si sono ormai ridotti a prenderne spunto per cercare di sostituirsi ad esso (senza riuscirci, dacché il comunismo classicamente inteso è crollato col Muro nell’89, e quel poco che è rimasto si è inculturato in radicalismo di massa, trasfigurandosi), mandando in giro volontari casa per casa con pacchi di giornali per autofinanziarsi. Autofinanziamenti, anche questi, che sostanzialmente vengono divorati nella stampa del loro giornale, in un circolo vizioso che per fortuna ne limita dimensioni ed impatto sulla società.

Comunque sia, stancamente (e tristemente) vado a prendere il portafogli, per dare 10 euro in cambio di un fondo di lusso per la gabbia dei miei pappagalli, apro e saluto. Ovviamente, per prima cosa vengo invitato ad un incontro coi “lavoratori” (quali, e di quale età? Oggigiorno a nessuno di quelli che conosco frega niente dei comunisti, men che meno quelli “rivoluzionari”) in un circolo che nemmeno ricordo.

-No grazie- rispondo – è mio padre che compra questo giornale, io anzi sono di idee politiche notevolmente diverse dalla vostre, non mi interessa.-

Pazienza, dice il ragazzo; comunque sia, mi illustra il contenuto della nuova pubblicazione. Tema centrale: i “migranti” (una volta, cioè fino a due-tre anni fa, si chiamavano clandestini, ma pazienza: potenza del politicamente corretto).

– Gi Stati europei importano forza lavoro dall’Africa e dall’Asia – mi spiega – per sostituire la popolazione di un’Europa sempre più vecchia ed avere un proletariato [che belli questi termini, da lessico comunista vecchio stampo!] che si accontenta di paghe più basse. Questi poveretti si ritrovano proiettati in un sistema capitalista che non conoscono e che li tratta come un mero capitale umano, in cui non hanno i mezzi per essere competitivi: per forza che alla fine emigrano da noi! Allo stesso modo, fa comodo per rafforzare le politiche interne europee: la questione dei confini, per esempio. In effetti, tutte le forze politiche vogliono usarli per proprio tornaconto.-

– Mah- replico io -che questa immigrazione clandestina sia voluta, anzi favorita da certe forze politiche e da certi mercati europei è fuori discussione, come pure che i clandestini siano merce di scambio per la politica: chi vuole accattivarseli perché saranno elettori un domani, e chi vuole accattivarsi gli elettori di oggi. Resta però il fatto che questa crisi demografica è stata voluta, ed incoraggiata, dall’Europa stessa: e lo è stato fatto mediante politiche di controllo famigliare e presunti “nuovi diritti”, che hanno portato alla demolizione della famiglia e della società. In altre parole, chi è causa del proprio del male pianga sé stesso: e tentare di importare nuova forza lavoro, sperando di avere una massa umana da poter controllare quando saranno infine costoro a controllarci, è solo l’ultimo spasmo suicida di un’Europa che ha dimenticato le proprie radici. E poi, questo discorso dell’immigrazione di massa come risposta di popoli “poveri” per cercare condizioni di vita migliori può essere vero fino ad un certo punto per l’Africa subsahariana: in quella settentrionale ed in Medio Oriente, tra il Daesh e i vari governi che opprimono le minoranze, si tratta di profughi che fuggono per ben altre motivazioni.-

-Già, il Nord Africa- risponde – dove in realtà ci sono dietro anche gli interessi di grandi potenze emergenti: Arabia Saudita, Turchia, Emirati. E la religione è solo un pretesto per spararsi addosso gli un gli altri, istigati dalle potenze straniere. Prenda per esempio l’Arabia: fino a cinquant’anni fa non erano niente, ora pagano certi gruppi rivoluzionari [non parla di terrorismo, e non mi sfugge: per il comunista rivoluzionario non esiste terrorismo, esistono rivoluzioni] per fare il lavoro sporco al posto loro coi petrodollari che hanno in abbondanza. E’ come quando- ride- gli Stati Uniti iniziarono la guerra in Iraq per “portare la democrazia”: in realtà è l’Occidente responsabile di avere creato certe situazioni di instabilità.-

-Certo- confermo -ma ritenere che la religione sia solo un pretesto è sottovalutare il problema: l’Islam, nelle sue varie interpretazioni, non è solo una religione, ma un totalitarismo [come quello comunista, mi vien da dirgli, ma mi mordo la lingua]. Ed in certi Paesi sono sempre stati prontissimi a massacrarsi a vicenda e, sempre, anche le minoranze, cristiani in primis. Che l’Occidente abbia la sua fetta di responsabilità su quanto avvenuto in Nord Africa è un fatto: ma allo stesso modo non è che i locali fossero pacifici e tolleranti. Anzi, l’Islam ha sempre fatto della conquista e della lotta al “diverso” il proprio marchio di fabbrica: illudersi che tutto ciò nasca dagli interessi degli americani, o dei governi europei, è sottostimare il problema. Prova ne è il fatto che queste guerre sono fomentate proprio da ricchi, e di nuova fondazione, Paesi islamici, che si lanciano l’uno alla gola dell’altro. Ed è inutile illudersi: quei Paesi non sono democratici e non lo saranno mai, anzitutto perché a loro per primi non importa niente della democrazia: vogliono emiri, re ed imperatori, forme di governo che possono capire.-

Taglia corto: mi lascia il giornale, io gli lascio (a malincuore) dieci euro, mi saluta, ci scambiamo un paio di ultimi convenevoli e poi, borbottando, metto la costosa lettiera dei pappagalli sullo scaffale mentre torno a  lavare i piatti, mentre il ragazzo torna in giro a diffondere il verbo comunista. Verbo che, grazie a Dio, è morto e sepolto e sopravvive solo nella testa di nostalgici e di rivoluzionari da salotto.