La fine (ma non del cristianesimo)

Apparentemente, è inutile prendersi in giro: la Chiesa, e la società cristiana con lei, sta morendo. Devastata da scandali, da apostati che hanno confuso la pastorale con un metodo per far passare ogni ideologia ed ogni eresia al disotto dei radar dell’ortodossia cattolica e della Vera Fede, da gente senza arte né parte che pensa a come sfruttarla per il proprio tornaconto invece che per fare gli interessi di Dio, dai peccati di tutti, dalle profanazioni ritenute “poco gravi”, dal maledetto “dialogo” assurto a panacea di ogni male (con l’effetto collaterale per cui chiunque osi essere fiero della propria religione e la vede come l’unica via ordinaria di salvezza è un pericoloso fanatico ed integralista, sicuramente un superbo), dalla sciatteria liturgica (che altro non è che l’altra faccia della medaglia rispetto alla Dottrina), sembra (e sottolineo sembra) che dall’interno stia avvenendo ciò che i suoi nemici (ed il Nemico per eccellenza, l’Avversario maledetto) si prodigano di fare da sempre: cioè la distruzione, totale e definitiva, della Sposa del Cristo.

Peccato che, in realtà, questa visione pessimistica e non cattolica dei fatti (proprio perché mancante di due cose, cioè della speranza e della fede, dato che Dio non si disinteressa delle vicende umane ma, al contrario, le porta a compimento e finisce per costringere anche il male ad obbedire alla Sua Divina bontà e misericordia) sia falsa. Falsa alla radice, dato che parte dalla stessa analisi della storia dal metro umano, e quindi falso, di coloro che applicano il successo di una istituzione dal numero di adepti ed ignorano Dio, escludendolo dall’orizzonte delle vicende umane. Invece, non è così: a Dio non importa niente dei numeri, tutto è cominciato, a conti fatti, con dodici persone (alcune delle quali pescatori, quindi senza chissà quale istruzione), e Lui non permetterà che le forze degli inferi prevarranno sull’istituzione da Lui formata.

Ciò potrebbe essere vista come la pia speranza di un povero illuso o di un bigotto qual sono, ma non è così. La realtà lo dimostra, e la realtà, a differenza dell’ideologia, non si piega ai desideri di ognuno: se tu non ti adatti ad essa, allora sarà lei a spazzarti via, lentamente o rapidamente ma si può star certi che ciò avverrà. Accade, quindi, che mentre il seminario diocesano della mia città è vuoto, sfornando solo due-tre preti (spesso stranieri, ovviamente) l’anno, ammesso ci siano, questa settimana sono stati ordinati undici (11, eleven, XI) nuovi preti provenienti dal seminario dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote. Istituto che, pienamente cattolico (è bene precisarlo, per evitare accuse di scisma o di sedevacantismo), aderisce con fedeltà e rigore alla Dottrina e celebra la Santa Messa secondo il rito di San Pio V (nella forma riveduta da San Giovanni XXIII). Nessuno di questi nuovi preti verrà impiegato, ovviamente, in parrocchie o riceverà dicasteri o posizioni importanti: troppo scomodi sono, sia perché ricordano che l’ideologia (tipo quella dell’abolizione, abusiva ed imposta, dell’uso liturgico di quella splendida lingua, e splendida proprio perché universale, cioè cattolica, che è il latino) è destinata a morire, sia perché indicano che chi si vuole consacrare non vuole farlo con chi ti dice che, in fondo, tu sia prete o laico è la stessa cosa, tanto basta aspettare il prossimo indulto e ciò che oggi è peccato grave domani non lo sarà più. E, per insistere su questa falsariga (ma si potrebbero fare altri esempi, il cui novero aumenta di continuo), se in Belgio il primate è “costretto” (su ordine dell’ultraprogressista, per non usare altri termini più duri ma forse veri, card. Danneels, peraltro noto copritore di pedofili ma “misteriosamente” membro della corte di Santa Marta) a mandare via una fraternità (la Fraternità dei Santi apostoli) di vita consacrata troppo ortodossa e ligia alla Tradizione per i suoi gusti, per il semplice motivo che in tre (3, three, III) anni dalla fondazione vantavano sei sacerdoti e ventuno seminaristi (di cui un diacono), quando il seminario diocesano di Bruxelles forse in un decennio riuscirà a raggiungere quei numeri, cosa vuol dire se non la fine non del cristianesimo e della Chiesa, ma di una idea di Chiesa e di cattolicesimo?

A questo stiamo infatti assistendo: alla morte di una forma, ideologica (e quindi falsa e corrotta), di Chiesa, ma non della Chiesa. E’ la fine dei giochi per quel ramo protestante, eretico, magari socialista e, proprio perché esclude Dio dall’orizzonte umano, infine ateo, non di tutta la Chiesa, men che meno di quella che considera la liturgia e la Dottrina non dei pesi morti o degli inutili estetismi, ma delle parti di eredità dal Cielo da custodire gelosamente. Come ho detto altrove, ciò a cui stiamo assistendo non è altro che l’incendio purificatore in una foresta ormai secca, devastata dagli insetti e dall’arsura, con gli alberi morti e putrescenti: tutto sembra ormai perduto, ma basta che il fuoco arda perché vuoi tra venti, vuoi tra cinquant’anni dai semi nascosti, che covavano sotto terra (e non potendo, quindi essere raggiunti) dal fuoco, ricresca l’intero bosco, più verde e rigoglioso di prima della morte di quello vecchio. Così è la Chiesa: sia da dentro che da fuori sono convinta che per piegarla ai propri interessi (cioè distruggerla infine, in quanto vorrebbe dire farla deviare dalla missione da cui è stata divinamente istituita) basti “darle fuoco”, vuoi con l’aperta persecuzione, vuoi con la derisione, vuoi con la sostituzione dell’ortodossia con l’eterodossia, della Verità con l’eresia, del Corpo Mistico del Cristo con un generico “popolo di Dio”, vuoi quello che vuoi ma alla fine, in realtà, rinascerà proprio grazie a questo, per giunta rinforzata e più ortodossa, fedele, zelante di prima. Con il rischio, peraltro, che gli stessi appiccatori di incendi finiscano per bruciarsi loro stessi: la Chiesa ha il vantaggio che può aspettare secoli, gli uomini misurano il tempo in anni e prima o poi, tecnica o non tecnica, la fossa aspetta tutti. Ma non la Sposa di Cristo.

Amoris Astutia

Tanto, troppo è stato scritto sulla discussa (e discutibile) Esortazione apostolica Amoris Laetitia in questi mesi. Fiumi di parole, specie dalle due fazioni opposte, i “normalisti” (che insistono a sostenere che niente sia cambiato rispetto a prima, e allora non si capisce a cosa servono oltre 260 pagine di documento) ed i “novatori” (per cui con la scusa della pastorale cambia anche la dottrina, e per sempre), questi ultimi pure assurti (con compiacimento papale) al rango di unici interpreti e situati in posizioni chiave nelle varie Conferenze Episcopali e dicasteri. Tuttavia, non posso esimermi dall’esporre la mia opinione, come cattolico e come uomo.

E’ doverosa una premessa: come ho già scritto in passato, il Papa non ha il potere di cambiare la Dottrina (anzi, qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico, scomunicato de facto e non più degno di essere obbedito), di cui deve essere custode e non “innovatore”; allo stesso tempo, però, per il cattolico non è lecito apostatare dalla Santa Chiesa cattolica, né offendere il ruolo di Pietro o muovere critiche infondate e faziose. Se da una parte il presunto “divieto di critica” alla persona (ma non al ruolo) del Pontefice, di cui ora si ciancia molto in una sorta di nuovo culto della personalità che di cattolico non ha niente, non esiste e non esisterà mai, dall’altra parte azioni e parole del Papa non autorizzano ad alcuno scisma o ad abiurare la fede cattolica (la quale comprende anche la comunione e l’obbedienza al Papa ed al collegio episcopale).

Detto ciò, che cos’è “Amoris Laetitia”? E’ un documento inutilmente lungo e verboso, un testo che può essere vista in un modo o in un altro a seconda di chi lo legge (e lo deve applicare): da una parte conferma la Dottrina di sempre (e Bergoglio, che ben distinguo dalla carica di Pontefice, questo lo sa, e non potrebbe essere altrimenti pena la scomunica), dall’altra si presta a nuove interpretazioni riguardo alla Comunione alle persone in stato di peccato mortale e pubblico scandalo (specificatamente, ma non solo, a divorziati “risposati” e conviventi), che contrastano oggettivamente con quanto asserito nel Nuovo Testamento in materia di disciplina matrimoniale e del rapporto tra l’uomo e la donna. Peraltro, se qualcosa ho sempre ammirato della Chiesa è stata la brevità e la chiarezza dei documenti, anche quelli (fin troppo, ed ingiustamente, vituperati) del Concilio Vaticano II: in al massimo poche decine di pagine viene proclamato e ribadito tutto ciò che c’è da sapere (e da applicare) su un determinato argomento; non così questa Esortazione, lunga allo sfinimento e ricca di giri di parole appositamente per dire e non dire, non disfare (formalmente, il che giova a coloro che in futuro dovranno mettere a posto i pezzi in quell’ermeneutica della continuità tanto cara a Benedetto XVI) e disfare (come già hanno fatto a Bergamo e nelle Filippine).

Quindi, in sostanza, cosa deve fare il cattolico osservante in merito a questo controverso documento? Ignorarlo, dacché non aggiunge nulla di nuovo rispetto a prima (e quindi è sostanzialmente inutile, che forse è persino peggio dello scandalo), o leggerlo alla luce della Dottrina e della Tradizione: le altre opzioni non sono cristianamente percorribili, come non è cristianamente possibile ascoltare le interpretazioni date da certi “teologi” ultraprogressisti come mons. Forte e mons. Kasper.

Conversazione con un giovane comunista

Cronaca di un evento appena accaduto.

Ero a lavare i piatti in cucina, quando sento suonare il campanello. Purtroppo, la finestra di cucina si affaccia sulla porta, quindi nello sporgermi per vedere chi suona non posso fare a meno di essere notato: si tratta di un ragazzo, con un enorme fascio di giornali, che mi vede e mi saluta. Sale rapidamente il giramento di scatole: si tratta del commesso di “Lotta Comunista”, giornale che mio padre si ostina a comprare, senza però nemmeno leggerlo e senza partecipare ai loro incontri (e non incappando nella scomunica quindi). Credo che lo faccia più per una sorta di imprinting, dovuto al tradizionale colore rosso della mia terra natia, o forse per un senso di tenerezza nei confronti di questi avanzi del XIX secolo, che nonostante la loro avversione al cristianesimo si sono ormai ridotti a prenderne spunto per cercare di sostituirsi ad esso (senza riuscirci, dacché il comunismo classicamente inteso è crollato col Muro nell’89, e quel poco che è rimasto si è inculturato in radicalismo di massa, trasfigurandosi), mandando in giro volontari casa per casa con pacchi di giornali per autofinanziarsi. Autofinanziamenti, anche questi, che sostanzialmente vengono divorati nella stampa del loro giornale, in un circolo vizioso che per fortuna ne limita dimensioni ed impatto sulla società.

Comunque sia, stancamente (e tristemente) vado a prendere il portafogli, per dare 10 euro in cambio di un fondo di lusso per la gabbia dei miei pappagalli, apro e saluto. Ovviamente, per prima cosa vengo invitato ad un incontro coi “lavoratori” (quali, e di quale età? Oggigiorno a nessuno di quelli che conosco frega niente dei comunisti, men che meno quelli “rivoluzionari”) in un circolo che nemmeno ricordo.

-No grazie- rispondo – è mio padre che compra questo giornale, io anzi sono di idee politiche notevolmente diverse dalla vostre, non mi interessa.-

Pazienza, dice il ragazzo; comunque sia, mi illustra il contenuto della nuova pubblicazione. Tema centrale: i “migranti” (una volta, cioè fino a due-tre anni fa, si chiamavano clandestini, ma pazienza: potenza del politicamente corretto).

– Gi Stati europei importano forza lavoro dall’Africa e dall’Asia – mi spiega – per sostituire la popolazione di un’Europa sempre più vecchia ed avere un proletariato [che belli questi termini, da lessico comunista vecchio stampo!] che si accontenta di paghe più basse. Questi poveretti si ritrovano proiettati in un sistema capitalista che non conoscono e che li tratta come un mero capitale umano, in cui non hanno i mezzi per essere competitivi: per forza che alla fine emigrano da noi! Allo stesso modo, fa comodo per rafforzare le politiche interne europee: la questione dei confini, per esempio. In effetti, tutte le forze politiche vogliono usarli per proprio tornaconto.-

– Mah- replico io -che questa immigrazione clandestina sia voluta, anzi favorita da certe forze politiche e da certi mercati europei è fuori discussione, come pure che i clandestini siano merce di scambio per la politica: chi vuole accattivarseli perché saranno elettori un domani, e chi vuole accattivarsi gli elettori di oggi. Resta però il fatto che questa crisi demografica è stata voluta, ed incoraggiata, dall’Europa stessa: e lo è stato fatto mediante politiche di controllo famigliare e presunti “nuovi diritti”, che hanno portato alla demolizione della famiglia e della società. In altre parole, chi è causa del proprio del male pianga sé stesso: e tentare di importare nuova forza lavoro, sperando di avere una massa umana da poter controllare quando saranno infine costoro a controllarci, è solo l’ultimo spasmo suicida di un’Europa che ha dimenticato le proprie radici. E poi, questo discorso dell’immigrazione di massa come risposta di popoli “poveri” per cercare condizioni di vita migliori può essere vero fino ad un certo punto per l’Africa subsahariana: in quella settentrionale ed in Medio Oriente, tra il Daesh e i vari governi che opprimono le minoranze, si tratta di profughi che fuggono per ben altre motivazioni.-

-Già, il Nord Africa- risponde – dove in realtà ci sono dietro anche gli interessi di grandi potenze emergenti: Arabia Saudita, Turchia, Emirati. E la religione è solo un pretesto per spararsi addosso gli un gli altri, istigati dalle potenze straniere. Prenda per esempio l’Arabia: fino a cinquant’anni fa non erano niente, ora pagano certi gruppi rivoluzionari [non parla di terrorismo, e non mi sfugge: per il comunista rivoluzionario non esiste terrorismo, esistono rivoluzioni] per fare il lavoro sporco al posto loro coi petrodollari che hanno in abbondanza. E’ come quando- ride- gli Stati Uniti iniziarono la guerra in Iraq per “portare la democrazia”: in realtà è l’Occidente responsabile di avere creato certe situazioni di instabilità.-

-Certo- confermo -ma ritenere che la religione sia solo un pretesto è sottovalutare il problema: l’Islam, nelle sue varie interpretazioni, non è solo una religione, ma un totalitarismo [come quello comunista, mi vien da dirgli, ma mi mordo la lingua]. Ed in certi Paesi sono sempre stati prontissimi a massacrarsi a vicenda e, sempre, anche le minoranze, cristiani in primis. Che l’Occidente abbia la sua fetta di responsabilità su quanto avvenuto in Nord Africa è un fatto: ma allo stesso modo non è che i locali fossero pacifici e tolleranti. Anzi, l’Islam ha sempre fatto della conquista e della lotta al “diverso” il proprio marchio di fabbrica: illudersi che tutto ciò nasca dagli interessi degli americani, o dei governi europei, è sottostimare il problema. Prova ne è il fatto che queste guerre sono fomentate proprio da ricchi, e di nuova fondazione, Paesi islamici, che si lanciano l’uno alla gola dell’altro. Ed è inutile illudersi: quei Paesi non sono democratici e non lo saranno mai, anzitutto perché a loro per primi non importa niente della democrazia: vogliono emiri, re ed imperatori, forme di governo che possono capire.-

Taglia corto: mi lascia il giornale, io gli lascio (a malincuore) dieci euro, mi saluta, ci scambiamo un paio di ultimi convenevoli e poi, borbottando, metto la costosa lettiera dei pappagalli sullo scaffale mentre torno a  lavare i piatti, mentre il ragazzo torna in giro a diffondere il verbo comunista. Verbo che, grazie a Dio, è morto e sepolto e sopravvive solo nella testa di nostalgici e di rivoluzionari da salotto.

Tanti auguri per un Santo Natale!

Anzitutto, tanti auguri a tutti per una santa Natività di Nostro Signore Gesù Cristo! Magari a qualcuno piacerebbe un articolo più tagliente, più sferzante, che esplichi meglio le contraddizioni della nostra società per quanto riguarda questa festa (di origine cristiana, checché ne dicano gli ignoranti ed i polemici), ma non si può: non ora, almeno. Il Cristo, il Figlio del Dio vivente, colui che salva e colui che solo può salvare, è realmente nato, è realmente vissuto, realmente si è incarnato ed ha agito (e, quindi, continua ad agire) nella storia: questo è il significato del Natale, una speranza rivolta a tutti gli uomini, una speranza che però non è vana, bensì una certezza, un fatto. Quindi bando alle polemiche ed alle chiacchiere vane: ancora auguri per un Santo Natale a tutti, specialmente a coloro che si lamentano, che augurano “buon Sol Invictus” e simili corbellerie, a coloro che non credono in Cristo!

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“Natività Mistica” – Sandro Botticelli, 1501, National Gallery di Londra

“Laddove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”

 

Ridendo dinanzi al baratro

Non è una novità che dinanzi agli avvenimenti di questi giorni sia facile cadere nello sconforto, e non solo per le solite polemiche sul Presepe (manco si celebrasse la nascita di Adolf Hitler, a questo punto), ma proprio per tutto lo sfacelo di quest’ultimo anno, a partire dal piccolo (cioè da me stesso) per giungere al grande (cioè allo sfacelo generale della Chiesa e, più in generale, della cristianità). Parto in questo viaggio nella lordura dal più piccolo in tutto ciò, cioè io, e rivedo tutto il lerciume che ho fatto, le cose che non ho detto, tutto ciò per cui ho peccato, molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni. Per gli impegni presi e non mantenuti, per il male fatto e per il bene non fatto. Per questo e molte altre cose.

Poi alzo lo sguardo e guardo ciò che accade per il mondo (maledetto sia il mondo globalizzato, che permette di venire a conoscenza delle sozzure in tempo reale avvenute in ogni angolo del pianeta!) e mi sento schiacciato: tutto il marciume fluisce, bavoso e stomachevole, e si concentra in questi ultimi giorni dell’anno, tra gente che viene ammazzata in quanto cristiana sotto il malcelato contento dei governi occidentali, tra vescovi (successori, quindi, degli apostoli) e preti (quindi consacrati al Cristo per intero) che fanno a gara a chi (s)vende di più Lui, il Signore, in nome dell’ossequio (vero o presunto) al Pontefice, sino alla polemica (cavalcata da una parte e dall’altra, dal clericalismo più becero che lo considera una merce di scambio per la resa al mondo all’anticlericalismo più radicale che odia e non sopporta nulla del cristianesimo, nemmeno il Bambino nella mangiatoia) di cui parlavo prima sul Presepe. Poi c’è tutto quanto avvenuto il resto dell’anno: le polemiche, i testi scritti di fretta e legittimanti pratiche non cattoliche, la presenza di eretici dichiarati che penetrano, con le loro menzogne (come avevano ragione nel “Medioevo” quando ritenevano l’eresia un virus capace di passare da persona a persona, e di contagiare quelle con gli “anticorpi” meno sviluppati!), sin nei sacri palazzi, diffondendo il loro “verbo” (che altro non è se spirito del mondo condensato ed addolcito) tentando di convertire anche il Pontefice al loro fiele. C’è il Sinodo, tentativo mai abbastanza deprecato e mai abbastanza segreto (o alla luce del sole, dipende dalla prospettiva) di rovesciare i Sacramenti (vero segno della Misericordia di Dio più che di mille discorsi) e la Santa Dottrina a partire dalla Eucaristia (frega niente a certi elementi della famiglia, del divorzio e dei divorziati “risposati”, ciò che conta è ridurre i Sacramenti a meri “simboli” di appartenenza, che quindi non servono a niente). Tu vedi tutto questo, e poi ti rendi conto che stai fissando un grande baratro, che stai ormai guardando la tenebra nel burrone finché non realizzi che anche quel buio ti sta osservando, di rimando. Dovresti temerla, quell’oscurità, dato che sai che è terribile e senza fondo e che, inesorabile e paziente, vuole solo divorarti.

E poi ridi.

Ridi non perché sei impazzito, non perché l’amarezza sta mutandosi nell’isteria inframmezzata da lacrime e follia, no, ridi di gioia, ridi di gusto e sinceramente e te ne freghi del fiele, delle tenebre e di tutto il resto: ridi perché tutto era già stato scritto. Ecco la prova irrefutabile, il segno per eccellenza che i Vangeli “c’avevano preso” e con loro tutti i più grandi mistici e mistiche: lo sfacelo in cui viviamo non solo è un “segno dei tempi”, indice dello schifo in cui versiamo, con una parte (consistente) della Chiesa che amoreggia col mondo (che ne vuole la dissoluzione, non certo ascoltarla, men che meno lasciarsi guidare da lei), ma è prova provante di tutto ciò per cui hai sempre combattuto; per la fede, innanzitutto, e poi per la vita, per gli altri. Senza scadere in millenarismi da setta da quattro soldi (Dio me ne scampi e liberi, ché il giorno e l’ora li conosce solo Dio Padre!), senza scadere in sedevacantismi, scismi, eresie e chi più ne ha, più ne metta, ché tanto son tutte cose che uccidono l’anima senza nemmeno rendersene conto, ti accorgi finalmente che stiamo toccando il fondo; e dico “finalmente” perché, una volta toccato il fondo verso cui da 500 anni (anniversario che ci toccherà festeggiare, anzi che festeggeranno dacché io non prenderò parte proprio ad un bel niente, tra 2 anni, alla faccia dell’ortodossia e dei Sacramenti) si stava inesorabilmente precipitando, non potremo fare altro che risalire. E allora ridi, di gioia e di liberazione.

Ridi perché conosci la storia: sai cosa accadde con l’arianesimo, sai che il mondo era come oggi, diviso fra l’eresia e la persecuzione, tra un cesaropapismo paganeggiante ed un Papa indeciso, che non sapeva dove andare perché sembrava che i seguaci di Ario, ormai, avessero trionfato ovunque e schiacciato tutti, anche Cristo stesso, sotto il loro tacco. Sai che bastarono tre persone (San Benedetto, Sant’Atanasio e San Nicola) per riportare il Pontefice sulla giusta rotta, pacificare l’Impero, far cessare le persecuzioni e far morire l’arianesimo nei suoi stessi rifiuti con il più grande Concilio della storia, odiato e temuto da tutti i modernisti proprio per questo motivo. E tutto questo in realtà lo puoi ricondurre, alla fine della fiera, se sai leggere tra le righe della storia e dell’agire umano, all’azione di una sola Persona, nemmeno di tre: Gesù Cristo.

Ridi perché sai che quando Satana pensa di avere vinto è solo questione di tempo perché Dio lo sbugiardi e lo riveli per ciò che è: cioè una scimmia che crede di poter essere Re.

Quindi per tutto questo, in un viaggio che parte dal mio cuore indurito per andare a trovare voi, miei lettori, e continua salendo (o scendendo, che dir si voglia) fino agli incalliti anticristiani ed ai furiosi clericali, passando anche per gli eretici e  dagli scismatici, per i violenti in parole ed atti, da tutti gli uomini insomma, conscio che anche coloro che vogliono il male sono costretti a servire il Bene, non posso che dire ed augurare una sola cosa a tutti quanti, ai giusti ed agli ingiusti, ai buoni, ai mediocri ed ai cattivi, a tutti gli uomini insomma: buon Natale del Signore, che Lui ci benedica e porti presto a termine questo tempo di tribolazione.

“Gioisci, figlia di Sion,/ esulta con tutto il cuore, Israele,/ e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Sion!” (Sofonia 3,14)

 

Quel che il Papa non è (o è)

Scrivo questo post per chiarire alcune cose che ormai si sentono in giro, e che sembrano voler minare la Santa Dottrina attribuendo al Santo Padre poteri e diritti che, in effetti, non ha. Chiedo a voi, lettori, di perdonarmi se questo articolo potrà sembrare “banalotto” ad alcuni, ma è necessario ribadire sempre la Dottrina della Chiesa di sempre, per essere più consapevoli del ruolo del Vicario del Cristo e combattere facili clericalismi (o anticlericalismi).

Il Papa non è il successore di Cristo. Sempre più spesso si sente dire che il Papa è “il successore di Cristo”, ma questa proposizione, oltre ad essere teologicamente scorretta, è intrinsecamente sbagliata: il Romano Pontefice, infatti, è il vicario di Cristo, non una Persona della Santissima Trinità o una “reincarnazione” del Nazareno. Vocabolario Treccani alla mano, il vicario è “chi esercita un’autorità o una funzione in sostituzione o in rappresentanza di altra persona di grado superiore. Con questo valore è stato, nell’antichità e nel medioevo, titolo di funzionarî e pubblici ufficiali”. Quindi, in altre parole, il Papa fa le veci del Cristo ed esercita la sua autorità temporaneamente ed in assenza (fisica) del Signore, non certo è un Suo successore. Casomai, il Pontefice è successore di Pietro, il che però è ben diverso.

Il Papa non può “inventare” dogmi (e, va da sé, non può cambiare o annullare dogmi). Quella del Papa che può “inventarsi” i dogmi è una palese bugia, dura tuttavia a morire e che, anzi, sta divenendo sempre più radicata: il Papa, infatti, ratifica ed afferma i dogmi di fede, i quali però non sono invenzioni della sua mente, frutto di una elaborazione teologica o dottrinale più o meno dotta, bensì devono essere in armonia con la Dottrina (quindi la Scrittura, la Tradizione ed il Magistero precedenti) e devono basarsi sull’assunto del “ciò che sempre ed in ogni luogo è stato creduto”; in altre parole, il dogma è una constatazione di una realtà spirituale e morale, non un’astrazione frutto di un semplice ragionamento umano bensì una realtà concreta frutto della Verità rivelata, quindi eterna, immutabile e preesistente all’affermazione stessa del dogma (quindi, per fare un esempio, l’Immacolata Concezione non “inizia” nell’Ottocento, ma si tratta semplicemente del prendere atto di una verità di fede creduta fin dall’inizio ma all’epoca soggetta a disputa teologica e, nei fatti, sempre esistita). Allo stesso modo, dato che (come abbiamo visto) il Papa non è successore del Cristo (e quindi un nuovo signore del Sabato, quindi legislatore divino) e non può inventare dogmi, allo stesso modo non può neppure negare le verità in materia di fede e di morale; qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico e, Codice di Diritto Canonico alla mano, scomunicato.

Il Papa non è un semplice “primus inter pares”. Sebbene il Papa sia (anche) il vescovo di Roma, non è semplicemente un vescovo “più potente”, con maggiori ruoli decisionali e di responsabilità: si tratta infatti pur sempre del vicario del Cristo, colui che ha il compito di confermare i fratelli nella Fede (quindi, di ribadire la Santa Dottrina e di proporla, diversa nel linguaggio ma uguale nel contenuto in quanto eterna, nei diversi tempi) e che è infallibile nei pronunciamenti ex cathedra (cioè quando esercita il suo ruolo di Pastore e di Dottore Universale della Chiesa cattolica) in materia di fede e di morale. Quindi non solo il Pontefice ha il compito di dirimere le dispute all’interno dell’episcopato, ma anche di indicare la via della fede e di ribadire ciò che in ogni tempo ed in ogni luogo è stato creduto nella Chiesa cattolica. La tendenza a considerare il Papa come un semplice “super-vescovo” non appartiene, infatti, alla Chiesa, bensì deriva dall’ambiente ortodosso (che, con la sua sinodalità, rifiuta la presenza di un’autorità centrale e riconosce soltanto patriarchi più o meno autorevoli e basta) o protestante (in cui perlopiù proprio non esiste una figura di riferimento, nemmeno all’interno delle singole confessioni).

Il potere del Papa non è assoluto. Come si è visto, il potere del vescovo di Roma (specie in materia di fede e di morale) non è assoluto quindi, bensì sottostà a precise limitazioni di natura teologica e morale. Quindi, se il Pontefice è per definizione un monarca assoluto in quanto sovrano della Città del Vaticano, nella realtà è vincolato a ben precisi obblighi e doveri, specialmente per quanto concerne il suo ministero particolare.

I pronunciamenti del Papa non sono tutti infallibili o magisteriali. Se è vero che il Magistero straordinario (i dogmi in materia di fede e di morale) è infallibile, quindi sempre vero e da tutti deve essere creduto ed obbedito, e che il Magistero ordinario è comunque sia merito di riverenza e di ubbidienza (sebbene non sia necessariamente corretto o infallibile), tutto ciò che esula da questo contesto (specialmente per quanto riguarda interviste, libri ed insegnamenti quale “dottore privato” e non come Dottore Universale della Chiesa) di conseguenza non appartiene al Magistero petrino. Pertanto tutto ciò che esula dal magistero petrino (quindi sostanzialmente ciò che va oltre le encicliche, i pronunciamenti ex cathedra, le lettere pastorali o la predicazione orale), pur con tutta l’obbedienza ed il rispetto che deve essere tributato al vicario del Cristo, può essere legittimamente ed educatamente criticato, senza per questo doversi sentire (o essere) meno cattolici o scomunicati. Questa osservazione è rivolta a coloro che ritengono, specie in ambienti clericali, che l’autorità del Papa sia illimitata e che, quindi, sia necessario obbedire supinamente a qualsiasi dichiarazione (spesso riportata da fonti non ufficiali) del Pontefice, quando in realtà non è vero.

Il Papa non deve piacere al mondo. Quest’ultimo punto vuole essere di critica a coloro che giudicano il “successo” di un papato in base a quanto piace o non piace alla gente: a prescindere dal carisma e dalla personalità di ciascun Pontefice, non è questo il metro di paragone. Il Papa, infatti, è vicario del Cristo, e quindi tanto più sarà riuscito a confermarei fratelli nella fede ed a indicare la retta Dottrina (svolgendo quindi non solo i compiti propri dell’episcopato, a cui ancora appartiene, ma anche quelli propri del ministero petrino) tanto più avrà avuto successo; il mondo, infatti, di suo è dominio di Satana, e non vuole altro che la dissoluzione della Chiesa cattolica. Più importante del l’approvazione del mondo è, per qualunque cattolico, la ricerca di quella di Dio, e questo vale ancor di più per il Pontefice; pertanto, non ci si può basare su criteri mondani per definire il “successo” o il “fallimento” di un papato, ma quanto questo è stato attinente al suo ministero. In sostanza, il compito del vicario del Cristo non è quello di piacere al mondo, ma quello di confermare i fratelli nella Fede e di fare le veci del Signore in attesa del Suo ritorno, Signore che fu crocifisso proprio dal mondo e che il mondo vuole vedere annientato.

L’acquario di San Pietro

Buongiorno a tutti, e buona festa dell’Immacolata ed inizio del Giubileo! Oggi scriverò solo un breve post, tanto per fare il punto in poche frasi di quello che sta avvenendo in questo momento nella Città del Vaticano.

Apprendo ora che stasera, sulla cupola di san Pietro, saranno proiettate immagini per celebrare l’inizio del Giubileo “della Misericordia” (come se ogni Giubileo non fosse, per sua stessa natura, una celebrazione della Misericordia divina). Tali immagini riguarderanno l’uomo, la misericordia, l’ambiente naturale ed il clima.

Ora, non per essere polemico a tutti i costi, ma vorrei fare qualche domanda “scomoda”, diciamo così: anzitutto, perché saranno proiettate immagini su tutto (a quanto pare) meno che sul Cristo, specie sull’Eucaristia che, in quanto vero Corpo e Sangue del Signore, è chiaramente l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega appunto, su qualsiasi discorso teologico e morale, quale tra gli altri quello sulla misericordia e sulla custodia del Creato? Perché nessuno ha obiettato sui costi di questa kermesse, in tempi in cui nella Chiesa ci si vergogna anche per due statue, qualche dipinto e qualche vaso sacro in materiali preziosi? Ancora, perché tutta questa grande operazione è stata appaltata perlopiù a supporters dell’aborto, a gruppi non cristiani o che, in generale, omaggiano divinità pagane nel loro nome; cos’è, non c’era nessun cattolico in grado di fare questo? Infine, qualcuno mi spiega cosa c’entra tutto questo con l’Immacolata che oggi festeggiamo?

Detto ciò, ancora auguri; possa Maria assisterci in questo momento delicato e pregare per noi tutti i giorni della nostra vita!

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Pausa di riflessione: “usi a obbedir tacendo e tacendo morir”

Scrivo questo breve post per spiegare le ragioni per cui ormai da più di due mesi non ho più scritto nulla in questo blog: anzitutto, perché nella Chiesa ormai sovrabbondano le chiacchiere più che la Grazia, e non era necessaria un’altra voce (la mia) che si aggiungesse all’inutile chiacchiericcio che, dai palazzi pontifici sino alle parrocchie ed alle case, ammorba la vita nella fede. Vita che ormai non si basa più sulla preghiera, sul nascondimento e sui Sacramenti, ma sul nascondere Dio a favore del “sociale” (in senso politico, ovviamente), approvazione pubblica e sull’asfissiante “dialogo” che ormai sono solo chiacchiere pronunciate per il puro gusto di ascoltare la propria voce, invece che per guidare gli altri al Cristo ed all’unica, vera Chiesa. Ho fatto mio quindi l’imperativo di Messori, e per di più ormai vivo come un militare dell’Arma, in senso spirituale ovviamente: uso ad obbedir tacendo e tacendo morir. Quindi, prima di tutto l’obbedienza (al Cristo ed alla Chiesa, nel senso anche e soprattutto della Santa Dottrina incorruttibile ed eterna), poi tacere se non si ha niente di intelligente da dire e quindi, se c’è bisogno, “morire” dentro anche quando la prima reazione sarebbe vomitare una fiumana di imprecazioni dinanzi a certe uscite.

Mi sono però già dilungato troppo, quindi prometto che nei prossimi giorni parlerò nuovamente del falso monaco Enzo Bianchi (concludendo così gli articoli), quindi a freddo (troppo è stato detto a caldo) del rapporto tra l’Islam e l’Occidente e sulle sconcezze dette al Sinodo. Per essere onesti, mi piacerebbe anche parlare del Battesimo e del concetto di figliolanza divina, se non sul post sull’Islam su uno dedicato appositamente. Stay tuned, quindi, direbbero gli anglofoni!

Falsi monaci e falsi storici: le origini del pensiero bianchiano

Riprendo finalemente a scrivere, cari lettori, dopo la pausa estiva, e su un tema scottante peraltro. Non posso tacere (e altrove non l’ho fatto, difatti) sui recenti avvenimenti che vedono protagonisti personaggi purtroppo molto noti nel panorama cattolico nazionale, i quali tuttavia propagandano un pensiero in aperto contrasto con ciò che insegna la Chiesa e, in modo sinceramente vergognoso, sfruttano il mecenatismo di personalità potenti (quali alcuni esponenti della CEI, che non rifiuta mai di ospitarli sulle pagine di “Avvenire”) per seminare scandalo e confusione fra i fedeli.

Sto parlando nello specifico del falso monaco e priore della comunità ecumenica di Bose Enzo Bianchi (classe 1943), personaggio ambiguo ed inquietante non solo per le sue opinioni, come mostrerò in aperto contrasto con la Verità e con la Chiesa (che lui reputa alla stregua di un circolo politico e non il Corpo Mistico del Cristo), ma anche per i suoi atteggiamenti e per i suoi supporti con membri siti molto in alto fra l’episcopato. Una premessa: lo definisco falso monaco non per livore o per giudizio alla persona (che non oserei mai; qui ed altrove giudico le idee, non l’intimità di un uomo che, sinceramente, mai ho conosciuto di persona), ma proprio perché costui non lo è, semplicemente: Bianchi si è autoproclamato tale, come pure priore. In realtà, il Nostro è laureato in Economia e Commercio (quindi, non ha mai compiuto nessuno studio accademico né filosofico né teologico, nonostante insista a fare teologia ed esegesi biblica) e non solo non è un prete, ma non è nemmeno un laico consacrato e non risulta da nessuna parte che abbia emesso dei voti privati. In effetti, dovrebbe essere evidente che, se Bianchi può presentarsi come monaco e priore, allora potrei farlo tranquillamente anch’io, dato che ho un titolo di studio universitario non teologico-filosofico (come il suo) e non ho mai emesso alcun voto o avuto alcuna consacrazione in vita mia. Stranezze del cattolicesimo moderno, si dirà, che perseguita santi uomini come padre Manelli (“colpevole” di essere troppo tradizionale e di preferire la Santa Messa in latino al rito ordinario) e favorisce personaggi borderline; ma c’è di più.

C’è che questo personaggio dichiara cose proprio apertamente non cattoliche, e non da dieci giorni (giorno a cui risale una temibile intervista a “Repubblica”, di cui parlerò prossimamente), ergendosi contemporaneamente a giudice delle varie realtà della Chiesa stessa. Questo atteggiamento deriva dai maestri che Bianchi ha avuto, senza dubbio, e a cui tributa molto; nomi che, ne sono sicuro, non hanno bisogno di presentazioni e che, anzi, ben spiegano certi rigurgiti in salsa protestanteggiante e modernista del Nostro: sto parlando di Hans Kung (da lui definito come uno dei padri del Concilio Vaticano II), inquietante personaggio che nega la reale presenza del Cristo nell’Eucarestia nonché il Primato petrino, oltre al famigerato cardinale Walter Kasper, allievo di Rahner (definito, e probabilmente non a torto, l’eresiarca del XX secolo) e propugnatore di tesi, quali l’accesso alla Santa Comunione ai divorziati “risposati”, che non stanno né in cielo né in terra (e, soprattutto, sono espressamente condannate nei Vangeli).

Fatta questa doverosa introduzione, iniziando da tempi più remoti rispetto alle ultime settimane, leggiamo, ad esempio, l’opinione del priore di Bose riguardo al suicidio di alcuni monaci buddhisti tibetani (che non è esattamente una “bella” corrente del buddhismo, ma tant’è agli occidentali piace; magari in futuro parlerò un po’ dell’inquietante figura del Dalai Lama e di che cos’era il Tibet fino agli anni ’50, al netto dei sentimentalismi occidentali) per protesta contro il governo cinese. Ebbene, il Catechismo della Chiesa Cattolica riporta che

2281 Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente.

E continua

2282 Se è commesso con l’intenzione che serva da esempio, soprattutto per i giovani, il suicidio si carica anche della gravità dello scandalo. La cooperazione volontaria al suicidio è contraria alla legge morale. […]

Si capisce bene, quindi, perché fino a qualche anno fa, pur pregando per i suicidi, la Chiesa ne vietasse le esequie religiose: perché il suicidio, anche nel caso dei cristiani, non può essere considerato un motivo di martirio. Anzi, è l’esatto contrario: è il voler disporre, fino alle estreme conseguenze, della propria vita, pur con tutte le eventuali attenuanti (come riconosce il CCC continuando il punto 2282, “gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida”), non può essere inquadrato come testimonianza al Signore dei viventi. Quindi, il suicidio è uno degli atti più gravi che si possono compiere contro il quinto comandamento.

Questo scoraggerà il nostro dall’elogiarlo? Assolutamente no; il Nostro infatti scrive, il 12 dicembre 2012 su “La Stampa”, queste parole:

Il martire che si nutre e si ricopre di incensi e profumi per poi ardere compie un’offerta libera e totale per la salvezza di tutti: non mira unicamente alla propria rinascita, ma al rinnovamento del mondo.

Avete capito? Per Bianchi colui che si uccide, sia pure per protesta (e, quindi, sicuramente non ricade nelle attenuanti indicate dal Catechismo) è un martire. Posto il fatto che “non la pena, ma la causa rendono martiri”, e che quindi non possono esistere martiri (cioè testimoni del Cristo) non cristiani, per il priore di Bose essere uccisi pur di non rinnegare la propria fede oppure uccidersi per ragioni di contestazione politica (per carità, legittime ma da attuare con altri mezzi) sono più o meno la stessa cosa. Bianchi non è però nuovo a questa ossessione per il suicidio, da lui visto come mezzo per rendere martire il suicida; già nel 1998, infatti, definì con queste parole il suicidio di John Joseph, vescovo cattolico di Faisabad, avvenuto per protesta contro la legge sulla blasfemia in Afganistan:

una modalità rarissima del martirio cristiano

Ovviamente, però, le eterodossie (quando non aperte eresie) del Bianchi non si limitano alla sua fissazione per il suicidio, il quale è soltanto la punta dell’iceberg del pensiero eterodosso bosiano-bianchiano; infatti, il Nostro aderisce in maniera più o meno diretta ad una eresia condannata dal 325 d.C., cioè dal primo Concilio di Nicea, cioè l’arianesimo. Questa eresia afferma che il Cristo non è vero Dio ma solo vero Uomo; pertanto, non partecipa della natura divina del Padre. In definitiva, il Cristo sarebbe una creatura, non essendo increato e non essendo sempre esistito. Questo, peraltro, inficia l’opera di salvezza del Nazareno, in quanto una creatura non può salvare alcun’altra creatura: solo Dio salva. Eppure, proprio questa è l’opinione del nostro blasonato priore:

Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità (da “Avvenire”, 4 marzo 2012)

Avete capito? Bianchi ammette che, per lui (ma certamente non per la Chiesa, né per Dio stesso ovviamente) il Cristo non è il Figlio di Dio e, quindi, una Persona della Santissima Trinità; no, asserisce direttamente che si tratta proprio di una creatura. Certo, una creatura grandissima, un maestro superiore agli angeli, però una creatura. Quindi, il Nostro aderisce a quella corrente di pensiero, purtroppo tristemente diffusa specialmente tra non cristiani ed atei in generale, che vedono nel Cristo soltanto una grande personalità della storia, al pari del Buddha o di qualche personalità politica, ma non come l’Emmanuele, il “Dio con noi”; questo è, a mio avviso, il punto più grave dell’intero pensiero di Bianchi (che, ricordo, non è certo un filosofo o teologo ma è fin troppo ben considerato dai nostri vescovi e cardinali).

Ovviamente, negando la divinità del Nazareno Bianchi non può che negare tutta un’altra serie di cose, non ultime la storicità dei Vangeli e la realtà dei segni (termine che io preferisco a miracolo, in quanto indicante maggiormente l’azione straordinaria di indicazione, di prodigio operato da Dio per confermare la Sua presenza tra di noi). Il Nostro, essendosi liberamente abbeverato dalle fonti dei vari Rahner e Kasper e, più in generale, di ogni ultraprogressista ai limiti dell’eresia (nella felice eventualità che quel limite non sia stato oltrepassato), così asserisce il 12 giugno 2011 nella trasmissione “Uomini e Profeti):

Certo Gesù svolse in qualche modo una attività di taumaturgo o guaritore … Ma i racconti poi si arricchivano di particolari e sovrastrutture di tipo ‘liturgico’”

In sostanza, i Vangeli non sono, come dice la Costituzione Dogmatica Verbum Dei sulla Divina Rivelazione (documento di quel Concilio Vaticano II a cui il priore di Bose, dichiaratamente, si rifà di continuo e che, anzi, come vedremo in sostanza considera l’unico Concilio in 2000 anni di storia della Chiesa):

Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza.

Altro che invenzioni degli apostoli, i segni, la Chiesa ci insegna, sono eventi avvenuti realmente ed in contesti storici e geografici ben precisi, non semplici racconti o metafore. Ovviamente, se si nega la divinità del Cristo, ne consegue che queste eventi divengono problematici, in quanto contengono al loro interno una dimensione trascendente ed escatologica (non liturgica, almeno non in senso stretto) che rivela la divinità del Figlio di Dio e che va al di là del singolo atto; in altre parole, i segni del Cristo hanno anche significati ulteriori rispetto a quello di essere semplici guarigioni, significati che rimandano all’essere del Nazareno il Signore, Figlio di Dio e Seconda Persona della Santissima Trinità. Bianchi, negando spesso implicitamente questo (come risulta dal suo concentrarsi sempre sul Cristo come Vero Uomo, e mai come Vero Dio) ed esplicitamente, come abbiamo appena visto, almeno in una occasione, non può concepire questo; pertanto, in sostanza, gli apostoli dovevano essere dei truffatori o dei visionari, che hanno divinizzato a posteriori le imprese (o almeno, quelle che implicano modifiche nell’ordine naturale delle cose, cioè i segni) di un semplice santone o maestro vissuto nella Palestina del I secolo. Un grande uomo, certo, ma appunto non il Figlio di Dio ed alla pari con tutta una serie di profeti, falsi e non, e di predicatori che circolavano in quel tempo a Gerusalemme e dintorni.

Chiaramente Bianchi, in quanto negatore della divinità del Cristo e della Sua azione anche al di fuori del normale corso delle cose, è inarrestabile; nella stessa trasmissione asserisce anche che

“Un Dio che castiga meriterebbe piuttosto di essere negato che non creduto”

In un colpo solo, Bianchi riesuma due eresie al prezzo di una: non solo infatti è implicito che l’Inferno sarebbe vuoto (dal momento che, non esistendo castigo divino, ne consegue che non esistono neppure né dannati né demoni) ma è anche assente la giustizia di Dio. In realtà, è il Cristo stesso, nei Vangeli (la cui storicità, però, Bianchi nega, sebbene asserisca nonostante tutto, sbagliando anche in questo caso, un primato della Parola su tutto il resto all’interno della sua comunità) , a fare affermazioni molto chiare in merito; in questa vita noi siamo nel tempo della misericordia, ma dopo la morte si entra nel tempo della giustizia, giustizia che comprende anche il castigo divino. Tale castigo inoltre può manifestarsi anche in questa vita, quando ad esempio Dio permette agli uomini di fare ciò che vogliono dimentichi di Lui, non sapendo (o volendo ricordare) che senza di Lui non possiamo fare nulla. Nel mistero della Santissima Trinità, infatti, carità, misericordia e giustizia sono intimamente legate; ma Bianchi, negando la divinità del Cristo, finisce anche per negare anche la sua valenza di giudice assoluto in questa vita e nell’altra e l’intima relazione fra queste virtù.

Quindi, ricapitolando, al di là delle approvazioni della gerarchia ecclesiastica a Bose e degli agganci del Nostro siti molto in alto, il pensiero di Bianchi è eterodosso, problematico e, in definitiva, non cattolico nei seguenti punti:

  • Affermazione del suicidio, almeno in alcuni casi, come uno strumento di martirio e non come un grave peccato (rifiutando il Catechismo nei punti  2280-2282).
  • Negazione della divinità del Cristo, aderendo ad un arianesimo de facto (condannato già da Nicea nel IV secolo), che scardina alla base la fede cristiana.
  • Negazione dei Vangeli come resoconti veri e fedeli della vita del Cristo.
  • Negazione dell’esistenza dei segni.
  • Negazione (implicita) dell’Inferno come luogo di dannazione ed affermazione (esplicita) di un concetto distorto di giustizia divina.

A questo, inoltre, come vedremo in futuro, va aggiunto anche il suo livore nei confronti dei pontefici precedenti all’attuale (che pure, sicuramente su consigli interessati, diedero qualche ruolo al Nostro in curia), nonché altre gravi affermazioni uscite di recente su “Repubblica”.

Clericalismo franceschista

La Chiesa ha affrontato, nel corso dei secoli, non solo le più grandi eresie e scismi ma anche i più disparati atteggiamenti, movimenti politici e clericali al suo interno, i quali si prefiggevano (o prefiggono, dato che alcuni, apparentemente morti e sepolti da tempo, periodicamente rifanno la loro comparsa, spesso accompagnati da ipotesi teologiche à la mode al limite dell’eresia, se non l’hanno già oltrepassato) di piegare la Sposa del Cristo ai loro interessi e non, invece, mettersi al servizio della stessa. In questo gioco di forzature, di intrighi politici e di gare a chi manda il proprio cervello all’ammasso più in fretta possibile e per i motivi più disparati, spesso secondo la formula guareschiana dei trinariciuti, che oggi dicono una cosa e domani ne dicono un’altra per compiacere al partito (in senso lato, ovviamente), ci sono due categorie che sono altamente diffuse oggigiorno e che rappresentano alla fine due facce della stessa medaglia: da una parte abbiamo l’anticlericalismo, che vede nel clero cattolico la fonte di ogni male e di ogni problema, invocandone la distruzione o, peggio ancora, l’adattamento al profano e la dissoluzione nel mondo; dall’altra il clericalismo, vera e propria idolatria di questo o quel personaggio o movimento interno alla Chiesa, spesso sfociante in estremizzazioni del pensiero stesso e nell’odio e nell’ostracismo verso chiunque non professi a chiare lettere il medesimo “affetto” nei confronti dello stesso soggetto. Il primo è un fenomeno prevalentemente secolare, il secondo è un fenomeno prevalentemente cattolico, ma il risultato è il medesimo: entrambe sono forze che, schiacciando da fuori e tirando da dentro, cercano di nullificare la Chiesa adattandola al proprio pensiero, talvolta senza rendersene conto. Detto questo, c’è però un tipo di clericalismo particolarmente virulento e pernicioso, molto diffuso ed, ormai, piuttosto incancrenito, che io chiamo”clericalismo franceschista”.

Questa forma di clericalismo si è affermata sin dai primi giorni del pontificato dell’attuale Papa, ma in realtà ha radici ben più profonde: sorge dal desiderio non di conformarsi alla Chiesa ma di conformare la Chiesa a sé stessi. Guarda caso, infatti, questi “slanci d’amore” non sono rivolti tanto verso il soggetto di queste passioni; al contrario, sono spesso onanistiche chiusure in sé stessi, in cui si cerca il compiacimento degli altri e non di fare, invece, un po’ di sana autocritica confrontandosi con il soggetto di queste pulsioni. Il clericalismo franceschista, però, ha un asso nella manica rispetto al normale clericalismo: complice anche l’ambiguità (vera o presunta) di certe parole ed atti dell’attuale Pontefice, può appoggiarsi non solo sui tradizionali baciapile ma anche (e soprattutto) su nemici storici della Cattolica. Basti pensare, ad esempio, a Scalfari, ieri nemico giurato di ogni forma di credenza ed oggi più papista del Papa, passato nel volgere di una sola intervista (manipolata o meno non è dato sapere) da furioso anticlericale a mite clericale. Quindi, il clericalismo franceschista, godendo anche del supporto di certi elementi, gode anche (per estensione) del supporto del mondo, dal momento che costoro ben rappresentano quest’ultimo e sono, anzi, spesso a capo dei movimenti politici e dei mezzi d’informazione che lo controllano; quindi, a differenza del “tradizionale” clericalismo, a volte talmente spinto da essere ridicolo e da difendere l’indifendibile, il quale ben si presta ad essere ridicolizzato dal mondo oltre che dagli stessi fedeli, il clericalismo franceschista è “alla moda”, “va forte” e, soprattutto, non porta ad alcuna ostracizzazione da parte di una società sempre più anticristica ed anticristiana; al contrario, suscita nel fedele medio e nel neo-pagano da bar un moto d’istintiva simpatia. Simpatia che, però, mal cela il compiacimento per una Chiesa che, spesso solo nella mente di costoro, “finalmente” si adegua ai loro desideri, anziché il contrario (come dovrebbe essere).

Detto questo, che spiega come sin dalla sera dell’elezione al Soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio buona parte del mondo si sia scoperta “cattolica” dopo aver per anni, se non decenni o persino secoli, auspicato la distruzione della Chiesa, bisogna notare che i primi, per ovvi motivi, a soffrire di clericalismo franceschista sono proprio gli stessi membri del clero, e per ben precise ragioni. I quali, fino a ieri, facevano ciò che volevano nella liturgia (e, talvolta, anche nella pastorale, indicatore di ciò che avviene nella Dottrina peraltro) nonostante l’esempio pontificio, anzi ignorandolo a bella posta se non proprio contestandolo bellamente, sfruttando episcopati ed organi di controllo talvolta compiacenti verso questi atteggiamenti, più spesso nullafacenti e latitanti; oggi, invece, continuano a fare questo grazie a ciò che viene fatto in San Pietro, usando gli atti del Pontefice come clave contro chiunque abbia qualcosa da ridire contro certi “estri” e certe affermazioni. Il problema più grave, però, è che fino a ieri costoro non potevano contare sulla scusa del “ma lo fa anche il Papa”, bensì soltanto lanciare strali ed accuse di discriminazione per poi fare comunque come li aggradava, mentre oggi lo fanno anche se non potrebbero (ad onor del vero il Romano Pontefice può derogarsi dalle disposizioni canoniche, anche se questo è, per ovvi motivi, “sconsigliato”; gli altri, no in ogni caso) adducendo un adeguarsi alle “nuove usanze” pontificie, quando in realtà hanno fatto questo per anni ed anni, infischiandosene invece di chi, proprio in ossequio al culto divino, insisteva a dare il buon esempio!

Capite il giochino, non nuovo nella storia ma che si ripropone prepotentemente nel “clericalismo franceschista”? Non si tratta di trarre insegnamento dal Magistero del Pontifice regnante (allo stato attuale molto ridotto, peraltro), bensì adeguare questo alle proprie paturnie ed alle proprie ideologie: dalla “riscoperta” di mons. Antonio Bello (sui cui aspetti più scandalosi e, se vogliamo, perversi, come la Madonna in costume da bagno, la vulgata clericalmente corretta glissa senza pudore) a ritualità che non hanno motivo di esistere al di fuori di San Pietro, passando per le continue citazioni di Francesco nelle omelie, tutto è funzionale a questa che, ad un occhio vigile, sembra riconducibile ad una enorme operazione di marketing nelle realtà parrocchiali anziché (tranne poco casi) un reale ossequio al Papa. Un mero fenomeno di moda e di (mal)costume, insomma, che ben poco ha a che spartire non solo con un reale ossequio del Magistero pontificio ma anche con una sana prassi ecclesiale.

Tutto ciò implica che il rispetto al Romano Pontefice che molti tributano, in realtà, non sia una forma di sana venerazione bensì di vero e proprio clericalismo. Clericalismo che però non nasce con Francesco: già c’era, e da sempre (probabilmente). Solo che i “creativi”, coloro che più che seguire il Ministero petrino in tutto lo seguono solo nelle parti che comodano perché adattabili al politicamente corretto (e, quindi, all’approvazione sociale in una società sempre più dichiaratamente ostile al cristianesimo in generale ed al cattolicesimo in particolare) e ad una loro personale interpretazione liturgica, dottrinale e pastorale, spesso ad onor del vero nemmeno coincidente con l’attuale corso, fanno quello che fanno non per un reale conformarsi allo stile del Papa: loro queste cose già le facevano, in barba al predecessore dell’attuale Pontefice. Quindi, alla fine della fiera, questo presunto “devozionalismo” verso la figura del Pontefice in realtà è verso la figura di Francesco più che verso il Ministero petrino in sé, e più per ragioni di marketing e di quieto vivere che non di “pastorale” e di “scelte coraggiose” (le quali scelte coraggiose, oggigiorno, sarebbero seguire le disposizioni liturgiche e dottrinali in tutto, convertendo sé stessi e non pretendendo che la Chiesa si converta al proprio ego), in una Chiesa che (almeno in alcuni ambienti, non tutti per carità) va sempre più a braccetto col mondo e ha paura di porsi come segno di contraddizione verso questo.