La fine (ma non del cristianesimo)

Apparentemente, è inutile prendersi in giro: la Chiesa, e la società cristiana con lei, sta morendo. Devastata da scandali, da apostati che hanno confuso la pastorale con un metodo per far passare ogni ideologia ed ogni eresia al disotto dei radar dell’ortodossia cattolica e della Vera Fede, da gente senza arte né parte che pensa a come sfruttarla per il proprio tornaconto invece che per fare gli interessi di Dio, dai peccati di tutti, dalle profanazioni ritenute “poco gravi”, dal maledetto “dialogo” assurto a panacea di ogni male (con l’effetto collaterale per cui chiunque osi essere fiero della propria religione e la vede come l’unica via ordinaria di salvezza è un pericoloso fanatico ed integralista, sicuramente un superbo), dalla sciatteria liturgica (che altro non è che l’altra faccia della medaglia rispetto alla Dottrina), sembra (e sottolineo sembra) che dall’interno stia avvenendo ciò che i suoi nemici (ed il Nemico per eccellenza, l’Avversario maledetto) si prodigano di fare da sempre: cioè la distruzione, totale e definitiva, della Sposa del Cristo.

Peccato che, in realtà, questa visione pessimistica e non cattolica dei fatti (proprio perché mancante di due cose, cioè della speranza e della fede, dato che Dio non si disinteressa delle vicende umane ma, al contrario, le porta a compimento e finisce per costringere anche il male ad obbedire alla Sua Divina bontà e misericordia) sia falsa. Falsa alla radice, dato che parte dalla stessa analisi della storia dal metro umano, e quindi falso, di coloro che applicano il successo di una istituzione dal numero di adepti ed ignorano Dio, escludendolo dall’orizzonte delle vicende umane. Invece, non è così: a Dio non importa niente dei numeri, tutto è cominciato, a conti fatti, con dodici persone (alcune delle quali pescatori, quindi senza chissà quale istruzione), e Lui non permetterà che le forze degli inferi prevarranno sull’istituzione da Lui formata.

Ciò potrebbe essere vista come la pia speranza di un povero illuso o di un bigotto qual sono, ma non è così. La realtà lo dimostra, e la realtà, a differenza dell’ideologia, non si piega ai desideri di ognuno: se tu non ti adatti ad essa, allora sarà lei a spazzarti via, lentamente o rapidamente ma si può star certi che ciò avverrà. Accade, quindi, che mentre il seminario diocesano della mia città è vuoto, sfornando solo due-tre preti (spesso stranieri, ovviamente) l’anno, ammesso ci siano, questa settimana sono stati ordinati undici (11, eleven, XI) nuovi preti provenienti dal seminario dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote. Istituto che, pienamente cattolico (è bene precisarlo, per evitare accuse di scisma o di sedevacantismo), aderisce con fedeltà e rigore alla Dottrina e celebra la Santa Messa secondo il rito di San Pio V (nella forma riveduta da San Giovanni XXIII). Nessuno di questi nuovi preti verrà impiegato, ovviamente, in parrocchie o riceverà dicasteri o posizioni importanti: troppo scomodi sono, sia perché ricordano che l’ideologia (tipo quella dell’abolizione, abusiva ed imposta, dell’uso liturgico di quella splendida lingua, e splendida proprio perché universale, cioè cattolica, che è il latino) è destinata a morire, sia perché indicano che chi si vuole consacrare non vuole farlo con chi ti dice che, in fondo, tu sia prete o laico è la stessa cosa, tanto basta aspettare il prossimo indulto e ciò che oggi è peccato grave domani non lo sarà più. E, per insistere su questa falsariga (ma si potrebbero fare altri esempi, il cui novero aumenta di continuo), se in Belgio il primate è “costretto” (su ordine dell’ultraprogressista, per non usare altri termini più duri ma forse veri, card. Danneels, peraltro noto copritore di pedofili ma “misteriosamente” membro della corte di Santa Marta) a mandare via una fraternità (la Fraternità dei Santi apostoli) di vita consacrata troppo ortodossa e ligia alla Tradizione per i suoi gusti, per il semplice motivo che in tre (3, three, III) anni dalla fondazione vantavano sei sacerdoti e ventuno seminaristi (di cui un diacono), quando il seminario diocesano di Bruxelles forse in un decennio riuscirà a raggiungere quei numeri, cosa vuol dire se non la fine non del cristianesimo e della Chiesa, ma di una idea di Chiesa e di cattolicesimo?

A questo stiamo infatti assistendo: alla morte di una forma, ideologica (e quindi falsa e corrotta), di Chiesa, ma non della Chiesa. E’ la fine dei giochi per quel ramo protestante, eretico, magari socialista e, proprio perché esclude Dio dall’orizzonte umano, infine ateo, non di tutta la Chiesa, men che meno di quella che considera la liturgia e la Dottrina non dei pesi morti o degli inutili estetismi, ma delle parti di eredità dal Cielo da custodire gelosamente. Come ho detto altrove, ciò a cui stiamo assistendo non è altro che l’incendio purificatore in una foresta ormai secca, devastata dagli insetti e dall’arsura, con gli alberi morti e putrescenti: tutto sembra ormai perduto, ma basta che il fuoco arda perché vuoi tra venti, vuoi tra cinquant’anni dai semi nascosti, che covavano sotto terra (e non potendo, quindi essere raggiunti) dal fuoco, ricresca l’intero bosco, più verde e rigoglioso di prima della morte di quello vecchio. Così è la Chiesa: sia da dentro che da fuori sono convinta che per piegarla ai propri interessi (cioè distruggerla infine, in quanto vorrebbe dire farla deviare dalla missione da cui è stata divinamente istituita) basti “darle fuoco”, vuoi con l’aperta persecuzione, vuoi con la derisione, vuoi con la sostituzione dell’ortodossia con l’eterodossia, della Verità con l’eresia, del Corpo Mistico del Cristo con un generico “popolo di Dio”, vuoi quello che vuoi ma alla fine, in realtà, rinascerà proprio grazie a questo, per giunta rinforzata e più ortodossa, fedele, zelante di prima. Con il rischio, peraltro, che gli stessi appiccatori di incendi finiscano per bruciarsi loro stessi: la Chiesa ha il vantaggio che può aspettare secoli, gli uomini misurano il tempo in anni e prima o poi, tecnica o non tecnica, la fossa aspetta tutti. Ma non la Sposa di Cristo.