La fine (ma non del cristianesimo)

Apparentemente, è inutile prendersi in giro: la Chiesa, e la società cristiana con lei, sta morendo. Devastata da scandali, da apostati che hanno confuso la pastorale con un metodo per far passare ogni ideologia ed ogni eresia al disotto dei radar dell’ortodossia cattolica e della Vera Fede, da gente senza arte né parte che pensa a come sfruttarla per il proprio tornaconto invece che per fare gli interessi di Dio, dai peccati di tutti, dalle profanazioni ritenute “poco gravi”, dal maledetto “dialogo” assurto a panacea di ogni male (con l’effetto collaterale per cui chiunque osi essere fiero della propria religione e la vede come l’unica via ordinaria di salvezza è un pericoloso fanatico ed integralista, sicuramente un superbo), dalla sciatteria liturgica (che altro non è che l’altra faccia della medaglia rispetto alla Dottrina), sembra (e sottolineo sembra) che dall’interno stia avvenendo ciò che i suoi nemici (ed il Nemico per eccellenza, l’Avversario maledetto) si prodigano di fare da sempre: cioè la distruzione, totale e definitiva, della Sposa del Cristo.

Peccato che, in realtà, questa visione pessimistica e non cattolica dei fatti (proprio perché mancante di due cose, cioè della speranza e della fede, dato che Dio non si disinteressa delle vicende umane ma, al contrario, le porta a compimento e finisce per costringere anche il male ad obbedire alla Sua Divina bontà e misericordia) sia falsa. Falsa alla radice, dato che parte dalla stessa analisi della storia dal metro umano, e quindi falso, di coloro che applicano il successo di una istituzione dal numero di adepti ed ignorano Dio, escludendolo dall’orizzonte delle vicende umane. Invece, non è così: a Dio non importa niente dei numeri, tutto è cominciato, a conti fatti, con dodici persone (alcune delle quali pescatori, quindi senza chissà quale istruzione), e Lui non permetterà che le forze degli inferi prevarranno sull’istituzione da Lui formata.

Ciò potrebbe essere vista come la pia speranza di un povero illuso o di un bigotto qual sono, ma non è così. La realtà lo dimostra, e la realtà, a differenza dell’ideologia, non si piega ai desideri di ognuno: se tu non ti adatti ad essa, allora sarà lei a spazzarti via, lentamente o rapidamente ma si può star certi che ciò avverrà. Accade, quindi, che mentre il seminario diocesano della mia città è vuoto, sfornando solo due-tre preti (spesso stranieri, ovviamente) l’anno, ammesso ci siano, questa settimana sono stati ordinati undici (11, eleven, XI) nuovi preti provenienti dal seminario dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote. Istituto che, pienamente cattolico (è bene precisarlo, per evitare accuse di scisma o di sedevacantismo), aderisce con fedeltà e rigore alla Dottrina e celebra la Santa Messa secondo il rito di San Pio V (nella forma riveduta da San Giovanni XXIII). Nessuno di questi nuovi preti verrà impiegato, ovviamente, in parrocchie o riceverà dicasteri o posizioni importanti: troppo scomodi sono, sia perché ricordano che l’ideologia (tipo quella dell’abolizione, abusiva ed imposta, dell’uso liturgico di quella splendida lingua, e splendida proprio perché universale, cioè cattolica, che è il latino) è destinata a morire, sia perché indicano che chi si vuole consacrare non vuole farlo con chi ti dice che, in fondo, tu sia prete o laico è la stessa cosa, tanto basta aspettare il prossimo indulto e ciò che oggi è peccato grave domani non lo sarà più. E, per insistere su questa falsariga (ma si potrebbero fare altri esempi, il cui novero aumenta di continuo), se in Belgio il primate è “costretto” (su ordine dell’ultraprogressista, per non usare altri termini più duri ma forse veri, card. Danneels, peraltro noto copritore di pedofili ma “misteriosamente” membro della corte di Santa Marta) a mandare via una fraternità (la Fraternità dei Santi apostoli) di vita consacrata troppo ortodossa e ligia alla Tradizione per i suoi gusti, per il semplice motivo che in tre (3, three, III) anni dalla fondazione vantavano sei sacerdoti e ventuno seminaristi (di cui un diacono), quando il seminario diocesano di Bruxelles forse in un decennio riuscirà a raggiungere quei numeri, cosa vuol dire se non la fine non del cristianesimo e della Chiesa, ma di una idea di Chiesa e di cattolicesimo?

A questo stiamo infatti assistendo: alla morte di una forma, ideologica (e quindi falsa e corrotta), di Chiesa, ma non della Chiesa. E’ la fine dei giochi per quel ramo protestante, eretico, magari socialista e, proprio perché esclude Dio dall’orizzonte umano, infine ateo, non di tutta la Chiesa, men che meno di quella che considera la liturgia e la Dottrina non dei pesi morti o degli inutili estetismi, ma delle parti di eredità dal Cielo da custodire gelosamente. Come ho detto altrove, ciò a cui stiamo assistendo non è altro che l’incendio purificatore in una foresta ormai secca, devastata dagli insetti e dall’arsura, con gli alberi morti e putrescenti: tutto sembra ormai perduto, ma basta che il fuoco arda perché vuoi tra venti, vuoi tra cinquant’anni dai semi nascosti, che covavano sotto terra (e non potendo, quindi essere raggiunti) dal fuoco, ricresca l’intero bosco, più verde e rigoglioso di prima della morte di quello vecchio. Così è la Chiesa: sia da dentro che da fuori sono convinta che per piegarla ai propri interessi (cioè distruggerla infine, in quanto vorrebbe dire farla deviare dalla missione da cui è stata divinamente istituita) basti “darle fuoco”, vuoi con l’aperta persecuzione, vuoi con la derisione, vuoi con la sostituzione dell’ortodossia con l’eterodossia, della Verità con l’eresia, del Corpo Mistico del Cristo con un generico “popolo di Dio”, vuoi quello che vuoi ma alla fine, in realtà, rinascerà proprio grazie a questo, per giunta rinforzata e più ortodossa, fedele, zelante di prima. Con il rischio, peraltro, che gli stessi appiccatori di incendi finiscano per bruciarsi loro stessi: la Chiesa ha il vantaggio che può aspettare secoli, gli uomini misurano il tempo in anni e prima o poi, tecnica o non tecnica, la fossa aspetta tutti. Ma non la Sposa di Cristo.

Ridendo dinanzi al baratro

Non è una novità che dinanzi agli avvenimenti di questi giorni sia facile cadere nello sconforto, e non solo per le solite polemiche sul Presepe (manco si celebrasse la nascita di Adolf Hitler, a questo punto), ma proprio per tutto lo sfacelo di quest’ultimo anno, a partire dal piccolo (cioè da me stesso) per giungere al grande (cioè allo sfacelo generale della Chiesa e, più in generale, della cristianità). Parto in questo viaggio nella lordura dal più piccolo in tutto ciò, cioè io, e rivedo tutto il lerciume che ho fatto, le cose che non ho detto, tutto ciò per cui ho peccato, molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni. Per gli impegni presi e non mantenuti, per il male fatto e per il bene non fatto. Per questo e molte altre cose.

Poi alzo lo sguardo e guardo ciò che accade per il mondo (maledetto sia il mondo globalizzato, che permette di venire a conoscenza delle sozzure in tempo reale avvenute in ogni angolo del pianeta!) e mi sento schiacciato: tutto il marciume fluisce, bavoso e stomachevole, e si concentra in questi ultimi giorni dell’anno, tra gente che viene ammazzata in quanto cristiana sotto il malcelato contento dei governi occidentali, tra vescovi (successori, quindi, degli apostoli) e preti (quindi consacrati al Cristo per intero) che fanno a gara a chi (s)vende di più Lui, il Signore, in nome dell’ossequio (vero o presunto) al Pontefice, sino alla polemica (cavalcata da una parte e dall’altra, dal clericalismo più becero che lo considera una merce di scambio per la resa al mondo all’anticlericalismo più radicale che odia e non sopporta nulla del cristianesimo, nemmeno il Bambino nella mangiatoia) di cui parlavo prima sul Presepe. Poi c’è tutto quanto avvenuto il resto dell’anno: le polemiche, i testi scritti di fretta e legittimanti pratiche non cattoliche, la presenza di eretici dichiarati che penetrano, con le loro menzogne (come avevano ragione nel “Medioevo” quando ritenevano l’eresia un virus capace di passare da persona a persona, e di contagiare quelle con gli “anticorpi” meno sviluppati!), sin nei sacri palazzi, diffondendo il loro “verbo” (che altro non è se spirito del mondo condensato ed addolcito) tentando di convertire anche il Pontefice al loro fiele. C’è il Sinodo, tentativo mai abbastanza deprecato e mai abbastanza segreto (o alla luce del sole, dipende dalla prospettiva) di rovesciare i Sacramenti (vero segno della Misericordia di Dio più che di mille discorsi) e la Santa Dottrina a partire dalla Eucaristia (frega niente a certi elementi della famiglia, del divorzio e dei divorziati “risposati”, ciò che conta è ridurre i Sacramenti a meri “simboli” di appartenenza, che quindi non servono a niente). Tu vedi tutto questo, e poi ti rendi conto che stai fissando un grande baratro, che stai ormai guardando la tenebra nel burrone finché non realizzi che anche quel buio ti sta osservando, di rimando. Dovresti temerla, quell’oscurità, dato che sai che è terribile e senza fondo e che, inesorabile e paziente, vuole solo divorarti.

E poi ridi.

Ridi non perché sei impazzito, non perché l’amarezza sta mutandosi nell’isteria inframmezzata da lacrime e follia, no, ridi di gioia, ridi di gusto e sinceramente e te ne freghi del fiele, delle tenebre e di tutto il resto: ridi perché tutto era già stato scritto. Ecco la prova irrefutabile, il segno per eccellenza che i Vangeli “c’avevano preso” e con loro tutti i più grandi mistici e mistiche: lo sfacelo in cui viviamo non solo è un “segno dei tempi”, indice dello schifo in cui versiamo, con una parte (consistente) della Chiesa che amoreggia col mondo (che ne vuole la dissoluzione, non certo ascoltarla, men che meno lasciarsi guidare da lei), ma è prova provante di tutto ciò per cui hai sempre combattuto; per la fede, innanzitutto, e poi per la vita, per gli altri. Senza scadere in millenarismi da setta da quattro soldi (Dio me ne scampi e liberi, ché il giorno e l’ora li conosce solo Dio Padre!), senza scadere in sedevacantismi, scismi, eresie e chi più ne ha, più ne metta, ché tanto son tutte cose che uccidono l’anima senza nemmeno rendersene conto, ti accorgi finalmente che stiamo toccando il fondo; e dico “finalmente” perché, una volta toccato il fondo verso cui da 500 anni (anniversario che ci toccherà festeggiare, anzi che festeggeranno dacché io non prenderò parte proprio ad un bel niente, tra 2 anni, alla faccia dell’ortodossia e dei Sacramenti) si stava inesorabilmente precipitando, non potremo fare altro che risalire. E allora ridi, di gioia e di liberazione.

Ridi perché conosci la storia: sai cosa accadde con l’arianesimo, sai che il mondo era come oggi, diviso fra l’eresia e la persecuzione, tra un cesaropapismo paganeggiante ed un Papa indeciso, che non sapeva dove andare perché sembrava che i seguaci di Ario, ormai, avessero trionfato ovunque e schiacciato tutti, anche Cristo stesso, sotto il loro tacco. Sai che bastarono tre persone (San Benedetto, Sant’Atanasio e San Nicola) per riportare il Pontefice sulla giusta rotta, pacificare l’Impero, far cessare le persecuzioni e far morire l’arianesimo nei suoi stessi rifiuti con il più grande Concilio della storia, odiato e temuto da tutti i modernisti proprio per questo motivo. E tutto questo in realtà lo puoi ricondurre, alla fine della fiera, se sai leggere tra le righe della storia e dell’agire umano, all’azione di una sola Persona, nemmeno di tre: Gesù Cristo.

Ridi perché sai che quando Satana pensa di avere vinto è solo questione di tempo perché Dio lo sbugiardi e lo riveli per ciò che è: cioè una scimmia che crede di poter essere Re.

Quindi per tutto questo, in un viaggio che parte dal mio cuore indurito per andare a trovare voi, miei lettori, e continua salendo (o scendendo, che dir si voglia) fino agli incalliti anticristiani ed ai furiosi clericali, passando anche per gli eretici e  dagli scismatici, per i violenti in parole ed atti, da tutti gli uomini insomma, conscio che anche coloro che vogliono il male sono costretti a servire il Bene, non posso che dire ed augurare una sola cosa a tutti quanti, ai giusti ed agli ingiusti, ai buoni, ai mediocri ed ai cattivi, a tutti gli uomini insomma: buon Natale del Signore, che Lui ci benedica e porti presto a termine questo tempo di tribolazione.

“Gioisci, figlia di Sion,/ esulta con tutto il cuore, Israele,/ e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Sion!” (Sofonia 3,14)

 

Quel che il Papa non è (o è)

Scrivo questo post per chiarire alcune cose che ormai si sentono in giro, e che sembrano voler minare la Santa Dottrina attribuendo al Santo Padre poteri e diritti che, in effetti, non ha. Chiedo a voi, lettori, di perdonarmi se questo articolo potrà sembrare “banalotto” ad alcuni, ma è necessario ribadire sempre la Dottrina della Chiesa di sempre, per essere più consapevoli del ruolo del Vicario del Cristo e combattere facili clericalismi (o anticlericalismi).

Il Papa non è il successore di Cristo. Sempre più spesso si sente dire che il Papa è “il successore di Cristo”, ma questa proposizione, oltre ad essere teologicamente scorretta, è intrinsecamente sbagliata: il Romano Pontefice, infatti, è il vicario di Cristo, non una Persona della Santissima Trinità o una “reincarnazione” del Nazareno. Vocabolario Treccani alla mano, il vicario è “chi esercita un’autorità o una funzione in sostituzione o in rappresentanza di altra persona di grado superiore. Con questo valore è stato, nell’antichità e nel medioevo, titolo di funzionarî e pubblici ufficiali”. Quindi, in altre parole, il Papa fa le veci del Cristo ed esercita la sua autorità temporaneamente ed in assenza (fisica) del Signore, non certo è un Suo successore. Casomai, il Pontefice è successore di Pietro, il che però è ben diverso.

Il Papa non può “inventare” dogmi (e, va da sé, non può cambiare o annullare dogmi). Quella del Papa che può “inventarsi” i dogmi è una palese bugia, dura tuttavia a morire e che, anzi, sta divenendo sempre più radicata: il Papa, infatti, ratifica ed afferma i dogmi di fede, i quali però non sono invenzioni della sua mente, frutto di una elaborazione teologica o dottrinale più o meno dotta, bensì devono essere in armonia con la Dottrina (quindi la Scrittura, la Tradizione ed il Magistero precedenti) e devono basarsi sull’assunto del “ciò che sempre ed in ogni luogo è stato creduto”; in altre parole, il dogma è una constatazione di una realtà spirituale e morale, non un’astrazione frutto di un semplice ragionamento umano bensì una realtà concreta frutto della Verità rivelata, quindi eterna, immutabile e preesistente all’affermazione stessa del dogma (quindi, per fare un esempio, l’Immacolata Concezione non “inizia” nell’Ottocento, ma si tratta semplicemente del prendere atto di una verità di fede creduta fin dall’inizio ma all’epoca soggetta a disputa teologica e, nei fatti, sempre esistita). Allo stesso modo, dato che (come abbiamo visto) il Papa non è successore del Cristo (e quindi un nuovo signore del Sabato, quindi legislatore divino) e non può inventare dogmi, allo stesso modo non può neppure negare le verità in materia di fede e di morale; qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico e, Codice di Diritto Canonico alla mano, scomunicato.

Il Papa non è un semplice “primus inter pares”. Sebbene il Papa sia (anche) il vescovo di Roma, non è semplicemente un vescovo “più potente”, con maggiori ruoli decisionali e di responsabilità: si tratta infatti pur sempre del vicario del Cristo, colui che ha il compito di confermare i fratelli nella Fede (quindi, di ribadire la Santa Dottrina e di proporla, diversa nel linguaggio ma uguale nel contenuto in quanto eterna, nei diversi tempi) e che è infallibile nei pronunciamenti ex cathedra (cioè quando esercita il suo ruolo di Pastore e di Dottore Universale della Chiesa cattolica) in materia di fede e di morale. Quindi non solo il Pontefice ha il compito di dirimere le dispute all’interno dell’episcopato, ma anche di indicare la via della fede e di ribadire ciò che in ogni tempo ed in ogni luogo è stato creduto nella Chiesa cattolica. La tendenza a considerare il Papa come un semplice “super-vescovo” non appartiene, infatti, alla Chiesa, bensì deriva dall’ambiente ortodosso (che, con la sua sinodalità, rifiuta la presenza di un’autorità centrale e riconosce soltanto patriarchi più o meno autorevoli e basta) o protestante (in cui perlopiù proprio non esiste una figura di riferimento, nemmeno all’interno delle singole confessioni).

Il potere del Papa non è assoluto. Come si è visto, il potere del vescovo di Roma (specie in materia di fede e di morale) non è assoluto quindi, bensì sottostà a precise limitazioni di natura teologica e morale. Quindi, se il Pontefice è per definizione un monarca assoluto in quanto sovrano della Città del Vaticano, nella realtà è vincolato a ben precisi obblighi e doveri, specialmente per quanto concerne il suo ministero particolare.

I pronunciamenti del Papa non sono tutti infallibili o magisteriali. Se è vero che il Magistero straordinario (i dogmi in materia di fede e di morale) è infallibile, quindi sempre vero e da tutti deve essere creduto ed obbedito, e che il Magistero ordinario è comunque sia merito di riverenza e di ubbidienza (sebbene non sia necessariamente corretto o infallibile), tutto ciò che esula da questo contesto (specialmente per quanto riguarda interviste, libri ed insegnamenti quale “dottore privato” e non come Dottore Universale della Chiesa) di conseguenza non appartiene al Magistero petrino. Pertanto tutto ciò che esula dal magistero petrino (quindi sostanzialmente ciò che va oltre le encicliche, i pronunciamenti ex cathedra, le lettere pastorali o la predicazione orale), pur con tutta l’obbedienza ed il rispetto che deve essere tributato al vicario del Cristo, può essere legittimamente ed educatamente criticato, senza per questo doversi sentire (o essere) meno cattolici o scomunicati. Questa osservazione è rivolta a coloro che ritengono, specie in ambienti clericali, che l’autorità del Papa sia illimitata e che, quindi, sia necessario obbedire supinamente a qualsiasi dichiarazione (spesso riportata da fonti non ufficiali) del Pontefice, quando in realtà non è vero.

Il Papa non deve piacere al mondo. Quest’ultimo punto vuole essere di critica a coloro che giudicano il “successo” di un papato in base a quanto piace o non piace alla gente: a prescindere dal carisma e dalla personalità di ciascun Pontefice, non è questo il metro di paragone. Il Papa, infatti, è vicario del Cristo, e quindi tanto più sarà riuscito a confermarei fratelli nella fede ed a indicare la retta Dottrina (svolgendo quindi non solo i compiti propri dell’episcopato, a cui ancora appartiene, ma anche quelli propri del ministero petrino) tanto più avrà avuto successo; il mondo, infatti, di suo è dominio di Satana, e non vuole altro che la dissoluzione della Chiesa cattolica. Più importante del l’approvazione del mondo è, per qualunque cattolico, la ricerca di quella di Dio, e questo vale ancor di più per il Pontefice; pertanto, non ci si può basare su criteri mondani per definire il “successo” o il “fallimento” di un papato, ma quanto questo è stato attinente al suo ministero. In sostanza, il compito del vicario del Cristo non è quello di piacere al mondo, ma quello di confermare i fratelli nella Fede e di fare le veci del Signore in attesa del Suo ritorno, Signore che fu crocifisso proprio dal mondo e che il mondo vuole vedere annientato.

Clericalismo franceschista

La Chiesa ha affrontato, nel corso dei secoli, non solo le più grandi eresie e scismi ma anche i più disparati atteggiamenti, movimenti politici e clericali al suo interno, i quali si prefiggevano (o prefiggono, dato che alcuni, apparentemente morti e sepolti da tempo, periodicamente rifanno la loro comparsa, spesso accompagnati da ipotesi teologiche à la mode al limite dell’eresia, se non l’hanno già oltrepassato) di piegare la Sposa del Cristo ai loro interessi e non, invece, mettersi al servizio della stessa. In questo gioco di forzature, di intrighi politici e di gare a chi manda il proprio cervello all’ammasso più in fretta possibile e per i motivi più disparati, spesso secondo la formula guareschiana dei trinariciuti, che oggi dicono una cosa e domani ne dicono un’altra per compiacere al partito (in senso lato, ovviamente), ci sono due categorie che sono altamente diffuse oggigiorno e che rappresentano alla fine due facce della stessa medaglia: da una parte abbiamo l’anticlericalismo, che vede nel clero cattolico la fonte di ogni male e di ogni problema, invocandone la distruzione o, peggio ancora, l’adattamento al profano e la dissoluzione nel mondo; dall’altra il clericalismo, vera e propria idolatria di questo o quel personaggio o movimento interno alla Chiesa, spesso sfociante in estremizzazioni del pensiero stesso e nell’odio e nell’ostracismo verso chiunque non professi a chiare lettere il medesimo “affetto” nei confronti dello stesso soggetto. Il primo è un fenomeno prevalentemente secolare, il secondo è un fenomeno prevalentemente cattolico, ma il risultato è il medesimo: entrambe sono forze che, schiacciando da fuori e tirando da dentro, cercano di nullificare la Chiesa adattandola al proprio pensiero, talvolta senza rendersene conto. Detto questo, c’è però un tipo di clericalismo particolarmente virulento e pernicioso, molto diffuso ed, ormai, piuttosto incancrenito, che io chiamo”clericalismo franceschista”.

Questa forma di clericalismo si è affermata sin dai primi giorni del pontificato dell’attuale Papa, ma in realtà ha radici ben più profonde: sorge dal desiderio non di conformarsi alla Chiesa ma di conformare la Chiesa a sé stessi. Guarda caso, infatti, questi “slanci d’amore” non sono rivolti tanto verso il soggetto di queste passioni; al contrario, sono spesso onanistiche chiusure in sé stessi, in cui si cerca il compiacimento degli altri e non di fare, invece, un po’ di sana autocritica confrontandosi con il soggetto di queste pulsioni. Il clericalismo franceschista, però, ha un asso nella manica rispetto al normale clericalismo: complice anche l’ambiguità (vera o presunta) di certe parole ed atti dell’attuale Pontefice, può appoggiarsi non solo sui tradizionali baciapile ma anche (e soprattutto) su nemici storici della Cattolica. Basti pensare, ad esempio, a Scalfari, ieri nemico giurato di ogni forma di credenza ed oggi più papista del Papa, passato nel volgere di una sola intervista (manipolata o meno non è dato sapere) da furioso anticlericale a mite clericale. Quindi, il clericalismo franceschista, godendo anche del supporto di certi elementi, gode anche (per estensione) del supporto del mondo, dal momento che costoro ben rappresentano quest’ultimo e sono, anzi, spesso a capo dei movimenti politici e dei mezzi d’informazione che lo controllano; quindi, a differenza del “tradizionale” clericalismo, a volte talmente spinto da essere ridicolo e da difendere l’indifendibile, il quale ben si presta ad essere ridicolizzato dal mondo oltre che dagli stessi fedeli, il clericalismo franceschista è “alla moda”, “va forte” e, soprattutto, non porta ad alcuna ostracizzazione da parte di una società sempre più anticristica ed anticristiana; al contrario, suscita nel fedele medio e nel neo-pagano da bar un moto d’istintiva simpatia. Simpatia che, però, mal cela il compiacimento per una Chiesa che, spesso solo nella mente di costoro, “finalmente” si adegua ai loro desideri, anziché il contrario (come dovrebbe essere).

Detto questo, che spiega come sin dalla sera dell’elezione al Soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio buona parte del mondo si sia scoperta “cattolica” dopo aver per anni, se non decenni o persino secoli, auspicato la distruzione della Chiesa, bisogna notare che i primi, per ovvi motivi, a soffrire di clericalismo franceschista sono proprio gli stessi membri del clero, e per ben precise ragioni. I quali, fino a ieri, facevano ciò che volevano nella liturgia (e, talvolta, anche nella pastorale, indicatore di ciò che avviene nella Dottrina peraltro) nonostante l’esempio pontificio, anzi ignorandolo a bella posta se non proprio contestandolo bellamente, sfruttando episcopati ed organi di controllo talvolta compiacenti verso questi atteggiamenti, più spesso nullafacenti e latitanti; oggi, invece, continuano a fare questo grazie a ciò che viene fatto in San Pietro, usando gli atti del Pontefice come clave contro chiunque abbia qualcosa da ridire contro certi “estri” e certe affermazioni. Il problema più grave, però, è che fino a ieri costoro non potevano contare sulla scusa del “ma lo fa anche il Papa”, bensì soltanto lanciare strali ed accuse di discriminazione per poi fare comunque come li aggradava, mentre oggi lo fanno anche se non potrebbero (ad onor del vero il Romano Pontefice può derogarsi dalle disposizioni canoniche, anche se questo è, per ovvi motivi, “sconsigliato”; gli altri, no in ogni caso) adducendo un adeguarsi alle “nuove usanze” pontificie, quando in realtà hanno fatto questo per anni ed anni, infischiandosene invece di chi, proprio in ossequio al culto divino, insisteva a dare il buon esempio!

Capite il giochino, non nuovo nella storia ma che si ripropone prepotentemente nel “clericalismo franceschista”? Non si tratta di trarre insegnamento dal Magistero del Pontifice regnante (allo stato attuale molto ridotto, peraltro), bensì adeguare questo alle proprie paturnie ed alle proprie ideologie: dalla “riscoperta” di mons. Antonio Bello (sui cui aspetti più scandalosi e, se vogliamo, perversi, come la Madonna in costume da bagno, la vulgata clericalmente corretta glissa senza pudore) a ritualità che non hanno motivo di esistere al di fuori di San Pietro, passando per le continue citazioni di Francesco nelle omelie, tutto è funzionale a questa che, ad un occhio vigile, sembra riconducibile ad una enorme operazione di marketing nelle realtà parrocchiali anziché (tranne poco casi) un reale ossequio al Papa. Un mero fenomeno di moda e di (mal)costume, insomma, che ben poco ha a che spartire non solo con un reale ossequio del Magistero pontificio ma anche con una sana prassi ecclesiale.

Tutto ciò implica che il rispetto al Romano Pontefice che molti tributano, in realtà, non sia una forma di sana venerazione bensì di vero e proprio clericalismo. Clericalismo che però non nasce con Francesco: già c’era, e da sempre (probabilmente). Solo che i “creativi”, coloro che più che seguire il Ministero petrino in tutto lo seguono solo nelle parti che comodano perché adattabili al politicamente corretto (e, quindi, all’approvazione sociale in una società sempre più dichiaratamente ostile al cristianesimo in generale ed al cattolicesimo in particolare) e ad una loro personale interpretazione liturgica, dottrinale e pastorale, spesso ad onor del vero nemmeno coincidente con l’attuale corso, fanno quello che fanno non per un reale conformarsi allo stile del Papa: loro queste cose già le facevano, in barba al predecessore dell’attuale Pontefice. Quindi, alla fine della fiera, questo presunto “devozionalismo” verso la figura del Pontefice in realtà è verso la figura di Francesco più che verso il Ministero petrino in sé, e più per ragioni di marketing e di quieto vivere che non di “pastorale” e di “scelte coraggiose” (le quali scelte coraggiose, oggigiorno, sarebbero seguire le disposizioni liturgiche e dottrinali in tutto, convertendo sé stessi e non pretendendo che la Chiesa si converta al proprio ego), in una Chiesa che (almeno in alcuni ambienti, non tutti per carità) va sempre più a braccetto col mondo e ha paura di porsi come segno di contraddizione verso questo.

Gaiezza vescovile

Non sappiamo se qualcuno dei discepoli era gay o la Maddalena era una lesbica. Sembra di no perché molti sono passati tra le sue gambe.”

A leggere queste parole, sembra di sentir parlare un qualche rappresentante dei movimenti LGBT più estremisti, pronto a scagliarsi contro qualunque forma di cattolicesimo che abbia a questionare sulle sue richieste di “nuovi diritti” e simili scempiaggini. E invece no: questa frase, detta con un linguaggio da scaricatore di porto e con probabile sottinteso di malcelate fantasie suine, non è opera di qualche piccolo anticristiano che pensa di poter scandalizzare, o anche solo far arrabbiare, i cattolici fallendo miseramente; peggio, è stata pronunciata da un vescovo, mons. Juan Vincente Córdoba, peraltro presidente della Commissione per la vita in Colombia, in un convegno promosso dagli LGBT. Questo sì che la rende scandalosa, dato che a pronunciarla è non soltanto un vescovo, quindi tenuto ad obbedire al Cristo ed alla Sua Chiesa (cosa, purtroppo, sempre meno frequente), ma pure presidente di un organo che dovrebbe essere sempre contrario, proprio per questioni di fedeltà alla Sposa del Cristo, a queste idiozie. Ma il monsignore, non contento di questa prodezza, ci tiene a precisare:

Nessuna attrazione è male. Quando diciamo che un omosessuale è un peccatore, io direi che lo stesso si può dire, o non dire, di un eterosessuale. Io direi: i fratelli omosessuali quando si sposano hanno quello che noi chiamiamo fedeltà e formano i loro figli con amore.”

A parte il fatto che la prima domanda da rivolgere al monsignore dovrebbe essere “quali figli? Quelli comprati con l’utero in affitto sfruttando donne dei Paesi poveri, o quelli abusivamente adottati sottraendoli a famiglie composte da un padre e da una madre?”, ma poi che cosa vuol dire “nessuna attrazione è male”? Certo che gli omosessuali sono peccatori come anche gli etero, resta il fatto però che la sodomia (insieme alla pedofilia, alla bestialità ed a simili “prodezze”), e non l’omosessualità tout court, rientra nel peccato impuro contro natura, quindi uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. Qui c’è poco da scherzare: se è vero che anche per un etero andare a prostitute, usare contraccettivi e darsi ai rapporti prematrimoniali è un peccato (e pure grave), vero è che nessuno di questi può qualificarsi come un peccato impuro contro natura, il quale è una spanna sopra. Il peccato impuro contro natura è proprio una violazione (e una violenza) nei confronti dell’ordine voluto da Dio e della natura umana, quindi non è sullo stesso piano di quello commesso da due ragazzi che “si danno alla pazza gioia”: è peggiore, molto peggiore. Se ne rende conto, il monsignore, della tremenda apologia del peccato (e che peccato, come se uno dicesse che uccidere chi ci sta antipatico o opprimere i più deboli andasse bene, anzi che si tratta di un progresso di civiltà buono e giusto) che sta compiendo? Probabilmente no, dato che prosegue:

Lasciamo scegliere ai bambini, non possiamo decidere per loro. Un bambino abbandonato per esempio, noi gli possiamo dare due papà o due mamme, dopo che hanno perso la loro mamma e il loro papà.”

Avanti col finto pietismo, cavallo di battaglia per gli LGBT e, più in generale, per chiunque difende una posizione sapendo di essere nel torto: poveri piccini, facciamo scegliere ai bimbi, soggetti che, proprio perché non sono maggiorenni, non possono essere soggetto od oggetto di diritto (e, quindi, non possono prendere queste decisioni legalmente). Anzi, magari facciamo scegliere per davvero ai più piccoli se avere una mamma ed un babbo, o se preferiscono avere due lesbiche o due gay che fanno finta di essere quello che non sono: sono certo che ne vedremmo delle belle. Soprattutto, sono certo che i bambini di cui sopra finirebbero per essere accusati di essere “omofobi” (qualunque cosa voglia dire), e quindi da rieducare a suon di falli di peluche e palpeggiamenti al limite della pornografia (e della pedofilia). No, monsignore, un bambino non può scegliere, e se lo facesse non credo proprio che Le piacerebbe la risposta: i bambini crescono bene solo in presenza di un padre e di una madre, perché così veniamo al mondo e solo così possiamo crescere bene, dato che solo l’uomo e la donna sono complementari fisicamente, mentalmente, psicologicamente e, perché no, spiritualmente. Dire al bambino che venire allevato da due uomini o da una coppia eterosessuale normale sarebbe la stessa cosa non solo è contrario a ciò che dice la Chiesa: è contrario alla ragione ed al buonsenso. D’altra parte, la logica non abbonda da queste parti, se lo stesso poi prosegue prima sostenendo che la questione sul “matrimonio” gay:

non è una battaglia tra pene e vagina” (sic!)

e poi incalzando pure:

[…]le unioni omosessuali non le consideriamo peccato, anche se per la chiesa non le possiamo chiamare matrimonio.”

Classica soluzione politicamente corretta: i “matrimoni” gay per la Chiesa (mica per lui, ci mancherebbe se un vescovo del suo calibro ci fa la grazia di essere cattolico!) non si possono chiamare matrimonio, ma per lui (e credo altri membri della Conferenza Episcopale locale a giudicare da come parla, prova di quali fogne queste tendano a diventare in certe parti del mondo quando sono troppo distanti, geograficamente o socialmente, da Roma) va tutto bene, anzi per loro non sarebbero peccato ma la Chiesa, anche quella nuova, francescana, mediatica, interattiva, 2.0 e qualunque altra scempiaggine venga in mente, non glielo permette: cattiva Chiesa, cattiva! Non mater et magistra, non Sposa del Cristo che simili elementi dovrebbero servire e non, invece, sottomettere al loro volere: no, nei loro discorsi la Chiesa diviene una matrigna cattiva, che ostacola i “poveri” omosessuali nei loro desideri di mettere su famiglia. Proprio edificante sentire ciò da un vescovo, che dovrebbe mettere ai primi posti della sua pastorale l’insegnamento delle verità di fede ed il non dare scandalo su certi argomenti.

Purtroppo, questo caso non è isolato: basta vedere quanto accaduto al Sinodo straordinario (e quanto avverrà, ne sono sicuro, a quello ordinario). Non è neanche giusto vederle come pazzie isolate, follie innescatesi chissà perché in alcuni cattolici: no, questi sono segni della crisi morale e dottrinale in cui la Chiesa, e specialmente (dico “specialmente” perché il pesce inizia a puzzare dalla testa, non perché sia preponderante tra) il clero, versa. Un mondo dove chiunque si costruisce un cattolicesimo a proprio uso e consumo, politicamente corretto ed ultra-progressista se gli va, in cui gnosticamente gli opposti possono coesistere in nome di un “volemose bene” che di cattolico, e men che meno di martire, non ha niente. Non si tratta solo di carenze dottrinali o di eresie dette per avere il plauso del mondo: peggio, è un nuovo luteranesimo ormai endemico e tumorale, che mira a fare ciò che il primo non è riuscito a compiere, cioè dissolvere la Chiesa nel mondo, neutralizzandola ballando attorno al vitello d’oro di una “modernità” che, sotto la sua facciata buonista e politicamente corretta, non è mai stata e non sarà mai amica della Chiesa (anzi, proprio perché il principe di questo mondo è Satana, non solo non è amica ma è ferocemente nemica di tutto ciò che è cattolico). Si sta parlando di vescovi e cardinali, pastori in ruoli chiave con potere, se non decisionale, esecutivo nelle proprie mani e che usano questo non per la maggior gloria di Dio, ma per vendere il Cristo per trenta denari al miglior offerente, senza avere nemmeno la decenza di avere sensi di colpa successivamente (e come potrebbero, d’altro canto, ebbri degli applausi del mondo?).

Le bestemmie per san Patrizio ed il politicamente corretto clericale

EDIT: in seguito a nuove informazioni, ho deciso di riscrivere da capo l’articolo postato ieri, così da fornire una analisi più precisa di quello che sta accadendo nella diocesi di New York e che, in un certo senso, è specchio della situazione europea. 

Sebbene sia passato un mese dalla festa di san Patrizio, patrono d’Irlanda e non solo, anzi forse proprio perché è passato così tanto tempo, è opportuno parlare di ciò che è accaduto oltreoceano, serenamente e cercando di non arrabbiarsi. Posso promettervi, miei lettori, che ci proverò.

Partiamo dal piccolo per arrivare al grande: la grande parata per il Saint Patrick’s Day (come lo chiamano gli anglofoni) di New York, parata quest’anno particolarmente scandalosa e che bene ha evidenziato un problema a livello gerarchico, già messo in evidenza dal Sinodo straordinario; cioè il piegarsi, con scarsità di coraggio e forse per ambizione, al politicamente corretto di certi esponenti della Chiesa americana. Prima, però, una premessa doverosa: la Cattolica, in quanto Corpo Mistico del Cristo, non solo è una, santa, cattolica ed apostolica, sempre e comunque, ma rappresenta anche la società perfetta, immagine in terra della gerarchia celeste. Ciò detto, i suoi membri possono eccome sbagliare, tutti noi pecchiamo, anche il Santo Padre: non credo però ci sia niente di scandaloso in questo, dato che si tratta della natura umana, conseguenza del Peccato Originale. La perfezione della Chiesa non deriva del resto dalla santità dei suoi singoli membri, bensì dalla promessa del Cristo, cioè che le porte degli Inferi non prevarranno su di Essa, fondata su Pietro e, di conseguenza, sui suoi successori. Detto questo, quindi, i suoi membri non solo possono sbagliare, ma anche peccare; anzi, tutti gli uomini peccano, tanto che solo il Nazareno e Sua Madre sono gli unici esseri a non aver commesso peccato nella storia dell’uomo. Tutti gli altri, anche i santi (i quali, proprio perché santi, insistono anzi tantissimo sul valore del sacramento della Confessione) sì. Quindi, cercare da una parte di essere puritani più che pudici, di negare il giusto diritto alla critica quando chi sta più in alto di noi (i cui errori ed i cui peccati, quindi, in ultima analisi hanno maggiore impatto tanto più in alto questi si trova nella gerarchia della Chiesa) devia dal seminato, non solo è sbagliato ma è molto poco cattolico: essere buoni cattolici non vuol dire essere ideologi, cercare di seguire le mode o, peggio, ignorare o piegare la Santa Dottrina al proprio volere; vuol dire osservarla ed esigere che coloro che ci guidano facciano lo stesso. Insomma, che coloro aventi il compito di guidarci verso il Regno dei Cieli riescano nel difficile compito di essere buone guide. Nascondere la critica legittima e la preghiera di riparazione per gli errori di chi è più in alto di noi per un pudore che, in realtà, è clericalismo, con la giustificazione del “non dare scandalo”, è sbagliato, non fosse perché i primi a dare scandalo sono proprio quei laici, diaconi, presbiteri e vescovi che fanno determinate cose. Come fare, in questi casi, quindi? Bisogna dire le cose in modo chiaro, pane al pane e vino al vino; bisogna pregare tanto, per noi e per chi sbaglia; bisogna, in ogni caso, non perdere la pazienza e lanciarsi in attacchi gratuiti e rabbiosi che, alla fine, trasformano chi li compie proprio in ciò che combatte.

E’ proprio in questa ottica che mi permetto di criticare le azioni (o meglio, l’assenza di azioni) compiute dal cardinale Timothy Dolan, il quale ha dato più volte prova di essere un autentico mastino della Chiesa cattolica in America. Talvolta il prelato ha dimostrato di fregarsene altamente anche di attirare le ire di progressisti e conservatori, andando persino contro il presidente degli Stati Uniti, nonché promotore di ogni schifezza (im)morale negli U.S.A., Barack Obama. Dicendo pane al pane e vino al vino, cioè che l’aborto è un assassinio e che i “matrimoni” gay sono scimmiottamenti della vera famiglia, quella eterosessuale. Verrebbe da dire: grande personaggio, lui si che non ha peli sulla lingua! E invece, purtroppo, non è del tutto vero.

Giorno di San Patrizio di quest’anno: la parata diviene una succursale del Gay Pride. Infatti le associazioni gay, che si contraddistinguono non solo in zozzoneria (vedasi i vari tentativi di sessualizzare bimbi di 4-5 anni e di propagandare empietà come uteri in affitto come assolutamente normali, non solo in America ma anche in Italia) ma anche in blasfemia, ottengono, finalmente e con loro grande soddisfazione, il piacere di insudiciare anche questo evento. Possono, con questo stratagemma, avere anche l’opportunità di offendere ripetutamente il santo, grande evangelizzatore degli irlandesi, dicendo che era gay. Sì, avete letto bene: i gay non solo hanno ottenuto, grazie al malefico potere del politicamente corretto e di una chiesa, quella americana, indebolita da molteplici scandali (spesso assolutamente falsi), di poter sfilare nella parata, ma hanno anche dichiarato che san Patrizio era gay come loro (sottinteso: altro che castità, questa è una leggenda della Chiesa medievale, bigotta ed oscurantista, ogni tanto lo dava e lo prendeva, ad altri membri dello stesso sesso per giunta). E cosa ha fatto il cardinale Dolan, dinanzi ad una simile blasfemia, che offende la memoria non solo di un grande santo ma anche della stessa Chiesa, in quanto va a calunniare un uomo che ha fatto tutto ciò che poteva per portare un’intera nazione al Cristo? Semplice: niente. Non ha detto una parola. Questi elementi, ringhiando parole ispirate loro direttamente dal Demonio (non c’è altra spiegazione per tutta la vicenda), non solo hanno letteralmente usato una parata durante una festa cattolica come trampolino di lancio per le loro rivendicazioni politiche, che non solo non appartengono alla Fede cattolica a cui aderiva il santo irlandese ma apertamente la osteggiano e la combattono, bensì hanno anche osato dire che il festeggiato era gay come loro, in tutto e per tutto. Politicamente corretto un paio di scatole: quando c’è da dire qualcosa su musulmani, gay e simili “categorie protette” sei automaticamente un porco conservatore, se questi offendono deliberatamente la Sposa del Cristo nessuno trova niente da ridire; ad ogni modo abbiamo avuto quindi, oltre allo sfruttamento sacrilego della festa cattolica come trampolino di lancio (e già questo è abbastanza grave di suo) per rivendicazioni di presunti “diritti” totalmente contrari al Magistero della Chiesa, anche offese al festeggiato, nel mutismo totale del card. Dolan e dei suoi. I quali hanno forse detto qualcosa quando le associazioni gay hanno, con prepotenza e per fini che tutto sono meno che la venerazione di san Patrizio ed ancor meno la loro conversione alla Santa Chiesa, chiesto di unirsi alla parata? No. Hanno protestato quando, temerari ed osceni, questi individui hanno anche offeso il santo dandogli del gay? No, il che è persino peggio. Soprattutto, è indice di quel mutamento di personalità (ammesso che lo sia realmente), oltre che di idee, di cui si parlava.

Si tratta di cambiamenti comportamentali dovuti al cambiamento di pontificato (e, quindi, a presunti cambiamenti dottrinali in seno alla Chiesa) oppure erano già cose che bollivano in pentola da tempo; soprattutto, cui prodest? In realtà, probabilmente, un misto tra le due cose, cioè poco coraggio nell’affrontare un tema così scottante per la società occidentale unito al vivere in un’epoca apparentemente segnata dai vari cardinali Kasper e Marx, impegnati a pontificare in ogni dove su problemi inesistenti, come le (mai esistite e che mai esisteranno, proprio in virtù del loro stato conclamato di pubblico scandalo che è ostacolo spirituale naturale) coppie di divorziati “risposati” o conviventi che vogliono tornare a ricevere la Santa Comunione, dove il Pontefice romano è (solo apparentemente) schierato con questa ala progressista, quando non ultra-progressista quando non apertamente eretica, della Chiesa, quando c’è un inquietante disinteresse verso la Santa Dottrina da parte anche di alcuni consacrati (figuriamoci, quindi, dei fedeli laici!)? E’ sempre il solito, classico, problema del clientelismo cattolico e del carrierismo, per cui esistono vere e proprie sacche di potere clericale che non solo fanno pressioni, cercando di trascinare la Chiesa sul proprio carrozzone per i propri interessi che non sono, spesso, neppure vagamente cattolici, ma anche che decidono loro chi diviene vescovo e chi no, chi diviene cardinale e chi no. Chiariamoci, non è che il Pontefice viene tagliato fuori da queste decisioni e che non abbia alcun potere in merito; solo, i candidati, da ratificare o meno, li propongono loro (anche perché il Papa non può, certamente, conoscere tutti i sacerdoti del mondo). E questo non da adesso, ma da sempre. Quindi, in realtà quella del card. Dolan non è nemmeno cattiveria: è scarsità di coraggio unita a simili spinte, perfettamente mondane. D’altra parte, già in passato, nonostante tutto, il porporato aveva dato prova di non spendere una parola contro coloro che pretendono di rimanere gay (quindi, omosessuali che continuano ad avere rapporti omoerotici e premono perché la Chiesa e la società accreditino loro fantomatici “diritti” che tali non sono) e di continuare ad accostarsi ai sacramenti; quindi, ciò che è accaduto non è altro che la fase finale di quella sindrome, cioè il politicamente corretto in salsa ecclesiale, che purtroppo ammorba diversi prelati (situati anche molto in alto) e che, in diversi casi, porta alla confusione ed alla discordia su argomenti che, invece, di suo sono chiarissimi. Questi moti “rivoluzionari”, che di rivoluzionario non hanno niente, questo manifesto mutismo che porta a non prendere posizione ed a favorire, in questo modo, i nemici di Dio e della Sua Sposa, porta soltanto a domandarsi : ma una pastorale rettamente intesa, cioè il guidare gli uomini al Signore tramite la Sua Chiesa, in tutto questo dov’è? Soprattutto, dov’è la custodia, la difesa e la propaganda della Santa Dottrina?