Il Catechismo ai tempi di Benigni

Questo Santo Stefano è stato turbato, in maniera affatto misteriosa, dal “regalino” di Natale che la Rai (probabilmente Radiotelevisione Apostati Italiani più che semplice Radiotelevisione Italiana) ha voluto fare ai cattolici del Bel Paese: la replica (di cui non si sentiva affatto il bisogno) dei Dieci Comandamenti letti e commentati da Roberto Benigni.

Premetto che a me, Benigni, personalmente piace: nonostante la sua eterna polemica con la destra italiana, da comico schierato a favore di una certa corrente politica (fenomeno questo proprio però non solo dell’Italia) più che della risata, a me ha sempre fatto ridere. Sarà perché è toscano come me, credo, ed anche perché sicuramente non mi reputo al servizio di qualche particolare corrente politica e, per quanto io possa essere certamente qualificato come uomo di destra (non senza orgoglio da parte mia), mai m’è fregato qualcosa di difendere Berlusconi o i suoi: sempre di esseri umani si tratta, affatto avulsi al vizio ed alle piccinerie (come tutti gli altri uomini del resto). Anzi, per quanto mi riguarda la satira feroce nei confronti di certi personaggi era più che giustificata; il problema, però, è che il ficcare siparietti contro la destra italiana all’inizio degli spettacoli su Dante (tra l’altro che cosa c’entra un comico con Dante, ed ancor di più cosa c’entra l’Alighieri con la situazione politica italiana? Boh…), spettacoli pregni già allora di errori teologici ai limiti dell’eresia tra l’altro (come non ricordare la “bellezza” dello Spirito Santo ritenuto emanazione dell’inconscio umano e non, invece, Persona della Santissima Trinità?), a Benigni non bastava più: quello già lo fa tutta la folta scuderia di “comici” Rai, a partire da personaggi mediocri come Crozza e la Litizzetto che si sono fatti (loro sì) un’intera carriera offendendo i politici di certi schieramenti. No, per fare ascolti  e proporre dei temi “originali” bisogna andare su altro, prendere in giro qualche bersaglio di ben più alto livello rispetto a quattro parlamentari a cui, al netto delle ossessioni radicali e comuniste, non frega niente a nessuno: e cosa c’è di meglio se non attaccare la Chiesa cattolica, “rea” di non rispettare il testo biblico (come se poi il cristianesimo fosse una religione del libro, tra le altre cose) sui Dieci Comandamenti, leggendoli in modo troppo poco “letteralista” (su certi punti, ovviamente, non certo su altri)?

Dicevo, questo Santo Stefano è stato turbato per i commenti estasiati in famiglia a questo nuovo spettacolo, quando in realtà (avendo in casa una catechista) non sarebbe certo dovuta essere questa la reazione. Al che mi sono inalberato, dato che è privo di senso che chi si professa cattolico possa bersi quella roba, dato che 1) il parere di Benigni, con tutto il bene che gli si può volere, è a livello di quello di un privato cittadino, non certo di un catechista e men che meno di un teologo (a patto che questi, ovviamente, seguano la Santa Dottrina e non si mettano ad inventare cose “strane”); 2) nello spettacolo si propagandano messaggi dichiaratamente anticattolici. E’ finita che è stato risposto alle mie osservazioni dicendomi che ero soltanto un “burbero” e che comunque piaceva, al che mi è passata la fame e mi son levato dalle scatole ché non avevo voglia di mettermi a litigare con i miei parenti.

Ad ogni modo, vorrei prendere come spunto le affermazioni anticattoliche (ed in definitiva antibibliche, dacché non ha senso andare contro la Chiesa ignorando a bella posta il Nuovo Testamento, con cui la Sposa del Cristo rilegge il Vecchio) per commentarle assieme a voi; al di là delle parti più o meno valide, infatti, c’erano dei punti molto, molto oscuri e chiaramente polemici contro la Cattolica:

La vera bestemmia è fare violenza in nome di Dio (incluse ovviamente Crociate ed Inquisizione): sebbene la violenza ingiustificata sia effettivamente una blasfemia se fatta nel nome di Dio,  comunque sia rimane il fatto che la bestemmia non è soltanto questo, né che le Crociate e l’Inquisizione (romana suppongo, ché ne sono esistite diverse) si possano qualificare come tali. Infatti, le prime erano di principio (al netto di episodi come il sacco di Bisanzio, condannato infatti anche dal pontefice dell’epoca) guerre di difese dell’Occidente cristiano contro un Islam conquistatore e parecchio violento, l’altra una risposta alle eresie (tutto meno che pacifiche, contrariamente a quanto vuole la vulgata corrente) che flagellavano l’Europa nel XVI secolo. In ogni caso, è chiaro che la bestemmia non è limitata alla violenza in nome di Dio, bensì a tutto ciò che è odio e sfregio a Dio; purtroppo, Benigni pur di far polemica usa due pesi e due misure, quindi a volte “limita” i Comandamenti ad un significato esclusivamente letterale, in altri contesti invece li “amplia” (giustamente, vedasi la frode fiscale che sarebbe un furto come effettivamente è). Peraltro, lo stesso Benigni (da che mi ricordi) sembra “giustificare” in qualche modo la bestemmia come intercalare, quando in realtà anch’essa, fatta in modo inconsapevole o no, era e rimane comunque una blasfemia (e delle più stupide, peraltro, dato che offende il Creatore senza alcuna riflessione).

Dio nel Decalogo vieta che si facciano immagini Sue: vero in parte (in realtà  Esodo 20, 4 mai vieta esplicitamente che siano fatte immagini della divinità, ma solo “di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”), ma questo divieto (come risulta evidente dai versetti successivi) è primariamente contro il culto idolatrico, non certo contro le raffigurazioni di Dio in sé e per sé, ed in ogni caso decade con l’incarnazione del Cristo (che, in quanto Vero Uomo oltre che Vero Dio, può tranquillamente essere raffigurato). Purtroppo, sembra sottendere che le raffigurazioni di Dio nelle chiese siano blasfeme, ma non è affatto vero: blasfema è l’adorazione delle immagini, che la Chiesa difatti non adora ma venera (e non le stesse in quanto tali, ma ciò che rappresentano). Quindi, questa sottolineatura con tutto il contorno di sottintesi è sbagliata, dato che nessun cattolico adora (cioè rende culto) a delle immagini, nemmeno di Dio stesso, e qualora lo facesse comunque sia peccherebbe.

Santificare le feste non significa andare a Messa la Domenica. E qui si legge irrefutabilmente il desiderio di andare contro la Cattolica: se è vero che santificare le feste non è solo andare a Messa la Domenica, noi siamo tenuti a santificare tutte le feste di precetto andando a Messa perlomeno in quei giorni. La differenza è apparentemente sottile, ma sostanziale: nel primo caso sembra che non andando a Messa la Domenica si possano comunque sia santificare (in quale modo non si sa) le feste, nel secondo che per santificare certi giorni dell’anno è necessario andare in Chiesa a rendere culto a Dio. Se è vero che non basta andare a Messa solo la Domenica per santificare certi giorni dell’anno, comunque sia le feste di precetto si possono santificare e festeggiare degnamente solo partecipando alla Messa. Differenza apparentemente insignificante ma sostanziale tra il pensiero cattolico e quello protestante tra l’altro, da cui Benigni attinge fin troppo per il proprio spettacolo purtroppo.

Per il resto, che dire, scelte poco coraggiose e banali: non citazione dell’aborto e dell’eutanasia tra i peccati contro il V comandamento (“convertito” in una sorta di peccato imperdonabile, dato che l’ucciso non potrebbe più perdonare il suo assalitore, quando nulla è impossibile a Dio ed è Lui che perdona e lava primariamente le colpe, non gli uomini) e VI comandamento ridotto ad un mero “non cornificare tua moglie”, con la Chiesa dichiaratamente attaccata su questo (d’altronde, cosa c’è di più innovativo se non accusare la Chiesa di sessuofobia, senza nemmeno provare a capire le sue posizioni dottrinali?). In sostanza, la “colpa” della Chiesa sarebbe proporre una lettura catechistica di questo comandamento troppo restrittiva, senza comprendere che in realtà anzitutto il Cristo stesso amplia il senso del comandamento (e lo ripeto, attaccare la Chiesa ignorando il Cristo è intellettualmente disonesto, oltre che sciocco),  e poi che l’adulterio veterotestamentario aveva un significato in ogni caso più ampio del semplice “non cornificare tuo marito/tua moglie”. Sebbene il senso di questo comandamento (in Esodo perlomeno) fosse primariamente rivolto al preservare la fedeltà coniugale, questo non implica che riguardasse soltanto ciò, né è possibile commentarlo in senso cristiano (o anti-cristiano, in questo caso) senza considerare il Nuovo Testamento e l’insegnamento del Cristo (il quale dice esplicitamente che non è ciò che entra nell’uomo ma ciò che esce dal cuore dell’uomo a renderlo impuro).

Pertanto, un consiglio: se volete studiare e vivere i Dieci Comandamenti sulle tracce del Cristo non guardate lo spettacolo di Benigni, il quale sebbene per lo più dica cose corrette ha cadute di stile (con annesse gravi errori teologici e morali) che lo rendono decisamente mediocre ed inadatto a qualsivoglia catechesi. Sebbene sia certamente più impegnativo, meglio leggersi le omelie di Benedetto XVI sul tema, che sono anche certamente più autorevoli rispetto a quanto è andato in onda sulla Rai. La cosa triste è che la colpa, alla fine della fiera, non è neanche di Roberto Benigni e dela Rai, o almeno non soltanto, bensì da chi pensa che tali spettacoli televisivi siano più autorevoli del Magistero papale ed insegnino il Catechismo agli ignoranti, traendone così falsi insegnamenti.

Verso “Gattaca” (o Hitler)

E’ appena stata presa la decisione, in Gran Bretagna, che potranno essere selezionati embrioni umani con un corredo genetico modificato, proveniente da tre persone e non soltanto da due, come è sempre stato da che mondo è mondo. Formalmente, è stata approvata questa selezione per “curare” embrioni malati prima dell’impianto; in realtà, dimostra soltanto la deriva eugenetica e neonazista che sta prendendo la nostra società occidentale. Vediamo come.

Ogni cellula del nostro corpo contiene due distinti DNA: il DNA nucleare ed il DNA mitocondriale. Il primo è, sostanzialmente, la centrale della cellula: situato nel nucleo, si occupa di regolamentare la produzione delle varie proteine ed enzimi necessari alla sopravvivenza ed alla crescita dell’organismo. L’altro, invece, è situato all’interno di piccoli organuli chiamati mitocondri. Questi organuli sono molto particolari: anzitutto, non vengono ereditati da entrambi i genitori ma solo dalla madre. Poi, sono i resti di antichi procarioti (organismi unicellulari privi di nucleo vero e proprio, come i batteri) che si sono adattati a vivere come simbionti all’interno di cellule più grandi, perdendo completamente la capacità di vivere autonomamente; tuttavia, mantengono un proprio DNA diverso da quello nucleare e sono capace di riprodursi autonomamente dalla cellula ospite. Infine, sono responsabili della respirazione cellulare: in altre parole, senza la loro presenza le cellule con nucleo (o eucariote) non solo potrebbero non crescere correttamente, ma anche morire. Questo perché la respirazione è il modo in cui la cellula ricava energia; in pratica, il mitocondrio è il motore della cellula. Quindi, il ruolo di questi piccoli organuli per noi eucarioti (ma non per i procarioti, che non ne hanno) è importantissimo, dato che senza di essi non potremmo vivere. Tuttavia, il DNA mitocondriale tende a mutare molto più frequentemente di quello nucleare, in modi che, a volte (a dir la verità, piuttosto raramente) possono dare origine ad alcune malattie metaboliche, più o meno gravi.

In ogni caso, però, sorge spontanea una domanda: è possibile che una portatrice di malattie mitocondriali molto gravi possa sopravvivere tanto a lungo da trasmettere la sua patologia? E, in ogni caso, è assimilabile un trasferimento di materiale genetico del genere ad un trapianto d’organi, come auspicano i suoi inventori?

Ovviamente no in entrambi i casi: gli individui portatori di mitocondri talmente malati da rendere impossibile o molto svantaggiosa la respirazione cellulare sono destinati a morire in poco tempo, quindi non possono trasmettere la loro malattia. Inoltre, non si tratta di un semplice “trapianto” di DNA: è una modifica genetica vera e propria, effettuata in vitro, che prevede la fecondazione di un ovulo e poi il trasferimento del nucleo così ottenuto in una cellula, enucleata artificialmente, con mitocondri sani. In realtà, lo scopo della medicina dovrebbe essere curare, e non “modificare” o “migliorare” il paziente; pertanto, in quanto si tratta di una modifica vera e propria di un organismo vivente (l’embrione), con un suo corredo genetico proprio e con delle peculiarità rispetto ai genitori, non siamo neppure nel campo della medicina, bensì dell’eugenetica.

Eugenetica, infatti, è l’unico termine per descrivere quanto sta accadendo: non solo questa procedura altamente invasiva non aiuterà coloro che soffrono (o potrebbero soffrire) di malattie mitocondriali, dato che i possibili svantaggi (come alterazioni non volute delle funzionalità cellulari) sono pari o persino superiori a quelli di chi soffre di simili patologie. Non si tratterebbe di cure, dato che alla fine gli “effetti collaterali” possono essere, questi sì, letali per embrioni e feti trattati in questo modo; invece, è soltanto la riproposizione del mito eugenetico della creazione dell’”uomo perfetto”.

“Uomo perfetto” ieri da ottenersi con gli accoppiamenti selettivi, oggi con manipolazioni genetiche e fusioni uomo-macchina (come sostiene il transumanesimo, figlio diretto dell’eugenetica). Neppure l’uomo fosse un animale da allevamento, un pollo in batteria o persino peggio, questa ideologia sostiene che sia un dovere civile essere sani e fisicamente perfetti, soprattutto perché bisogna attivamente produrre: in altre parole, la vita umana non ha valore in quanto tale, perché unica ed irripetibile e dotata di libero arbitrio, bensì soltanto in quanto può produrre e consumare. Risulta chiaro a questo punto che esistono anche dei veri e propri “rifiuti umani”: gli anziani, ad esempio, i malati, gli invalidi. Tutte categorie che, secondo il credo eugenetico, sono da eradicare perché toglierebbero risorse ai giovani, ai sani, ai validi.

Non è affatto sorprendente che le correnti eugenetiche, che predicavano tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900 la creazione del superuomo, si basassero sul folle nichilismo nietzschiano, per cui infine l’essere umano è padrone assoluto di sé stesso e degli altri uomini, che può suddividere in categorie ed assoggettare in ultima analisi: validi ed invalidi, appunto. Proprio come nel film “Gattaca”. E questo non nasce a caso, bensì dalla negazione di senso: del senso della vita, ad esempio, o della vita come progetto divino; né è un caso che da questi concetti siano stati ripresi dai primi eugenetisti anzitutto, poi dai nazisti ed infine da transumanisti e dai moderni eugenetisti (che, ancora oggi, tentano di perseguire i loro scopi sebbene in maniera più nascosta ed oculata, come dimostrano le grandi catene abortiste alla Planned Parenthood). L’unica cosa ad essere cambiato è il metodo: prima gli eugenetisti sbandieravano i loro piani come un progresso ed una conquista doverosa per l’umanità; poi, col nazismo e la rivelazione degli esperimenti orrendi condotti ad opera di alcuni scienziati tedeschi (come il famigerato Mengele) nella direzione teorizzata nelle grandi università europee e nei corsi di eugenetica, semplicemente si sono camuffati e radicalizzati in una nuova ideologia, in cui sono confluite anche altre provenienti sempre dalla stessa area nichilista e di cui il Novecento ha smascherato gli orrori: il relativismo. Relativismo, guarda caso, che anch’esso si basa su una negazione di senso, cioè sull’impossibilità di conoscere la verità e, di conseguenza, riducendola ad opinione.

“Gattaca”, dicevo sopra: sì, perché in quel film del 1997 appariva proprio il fine di ciò che alcune forze palesemente nichiliste ed anticristiche, pronte ad usare la trita scusa delle “buone intenzioni” e di “aiutare l’umanità” ed alleate col progressismo ed il positivismo più beceri, stanno cercando di attuare oggi. Lo scopo, cioè, di dividere i cittadini in individui di classe a, possibilmente privi di legami familiari e di affetti ma “perfetti” (per quanto possa esserlo un essere umano) dal punto di vista fisico e genetico, eccellenti consumatori in un sistema capitalista e sfruttatore che vede nell’uomo un consumatore e non un individuo fatto di anima e carne, ed in cittadini di classe b, impossibilitati ad essere un perfetto ingranaggio in un simile, orrendo sistema e, quindi, da vessare o eliminare. Sistema che non è trans-umano bensì post-umano o persino para-umano, che prevede, insomma, non la gloria dell’essere umano ma la sua distruzione e che, pertanto, non può tollerare che esistano esseri umani che si sottraggano alla sua perversione satanica.

Sì, uso proprio questo termine: perversione satanica; perché non c’è altro ispiratore dietro ogni peccato, ogni nefandezza della storia se non lui, l’Avversario per eccellenza. Avversario che brama più di ogni cosa proprio distruggere coloro che, pur con tutte le loro imperfezioni, i loro limiti e le loro debolezze, sono fatti ad immagine e somiglianze di Colui che odia più di tutti; pertanto, esattamente come sopra i “non validi” devono essere annientati dai “validi”, così coloro che si oppongono a simili storture spacciate per progresso devono essere annientati. In fondo, anche Lucifero stesso era un angelo, e che angelo: il più bello ed il più potente tra tutti; ma poi, per la sua superbia, condannatosi da solo (senza accorgersene) ad essere l’ultimo tra le creature ed il più brutto, privato di ogni potestà dal Cristo. Tuttavia, l’uomo è primo tra tutte le creature essendo ad immagine e somiglianza di Dio, ed è persino più grande degli angeli, come dimostra la Vergine Maria. Quindi, per invidia satanica che vede nell’uomo insopportabile riflesso del Divino, deve essere annientato.

Questo è, infine, l’orrido volto che si cela dietro a simili ideologie; certo, non sto dicendo che Satana governi direttamente questi individui come marionette, o come pedine in un gioco più grande. No: sarebbe troppo facile e liberatorio attribuire tutta la colpa di simili nefandezze a lui, al Drago maledetto, e non a coloro che colpevolmente e gioiosamente lo assecondano e che a volte sembrano ingegnarsi per superarlo. Perché quanto sta accadendo adesso in Inghilterra non ha affatto lo scopo di curare malattie, o di “salvare l’umanità” (come se Qualcuno non ci avesse già pensato un paio di millenni fa). Nel caso, tutto questo nasce da una visione tremendamente anti-umana dell’essere umano, visto solo come un ingranaggio produttivo e ridotto a numero; mero bersaglio della pubblicità e soggetto al potere pubblico, i quali hanno tutto l’interesse di renderlo profondamente infelice e schiavo dei suoi desideri. Come ottenere tutto questo? La risposta è semplice: eliminare anzitutto la famiglia, cosicché non ci siano più punti di riferimento; convincere la gente che si deve essere “utili” e che bisogna produrre e consumare disperatamente, altrimenti si è soltanto un intralcio; negare l’esistenza di qualsivoglia Legge al disopra di quella dello Stato, a cui anche quella civile deve obbedire.

Quindi, simili iniziative non sono rivolte a curare, bensì a distruggere: nel tentativo di rendere la società umana né più, né meno, di un’azienda, con degli utili, delle spese e dei consumatori, si finisce col distruggere l’uomo. In fondo, se si elimina ogni riferimento e si nega ogni valore e persino l’esistenza stessa della verità, in un nichilismo solo a parole condannato ma nei fatti radicalizzato e praticato sino alle sue più estreme conseguenze, non si può che arrivare a questo punto. Questa è la cosiddetta “società civile” occidentale e la democrazia liberale: una ipocrisia che attende non appena avrà gli strumenti per dividere gli individui in “validi” ed “invalidi” in base a criteri non solo genetici o fisici, ma anche mentali, spirituali, religiosi. Anche negando questi ultimi, se necessario; proprio come in “Gattaca”. O, per rimanere nella realtà, proprio come voleva fare Hitler.

Sondaggi e sepolcri

Sono stati pubblicati, durante gli scorsi mesi, alcuni risultati del sondaggio voluto da Sua Santità per saggiare il terreno sui temi scottanti emersi al Sinodo straordinario lo scorso ottobre e che saranno ridiscussi tra pochi mesi. Ovviamente, è presto a dirsi, il grido che si è innalzato da quei fogli non è quello dei fedeli cattolici, di coloro che, pur sbagliando ed anche gravemente, sono disposti a riconoscere le proprie colpe e ad affidarsi al Cristo ed alla Chiesa in ogni caso. Proprio no, l’urlo che si è levato era quello di un modernismo velenoso ed eretico; e come poteva non essere così, dato che è stato permesso a cani e porci di rispondere alle domande e che i primi risultati provengono, soprattutto, dalle diocesi più progressiste d’Europa? Hanno messo bocca nella questione non soltanto cattolici ma anche membri di altre confessioni cristiane (anche quelli che, un tempo, sarebbero stati chiamati “eretici”), atei, gente che fino al giorno prima dell’elezione di Francesco sarebbe voluta entrare in chiesa solo per bruciarla e così via; e cosa potevano  avere mai da dire costoro? Anche le ricchissime e radicali Conferenze Episcopali tedesche, olandesi, belghe hanno risposto; e cosa potevano mai rispondere, costoro che hanno fatto della “protestantizzazione” delle diocesi loro affidate e dello scisma con Roma, in una chiave nazionalista ed anti-mediterranea sovente, neppure troppo nascosto i loro cavalli di battaglia? Ovviamente, che la Chiesa deve benedire le coppie gay e riconoscere il “matrimonio” omosessuale, che la contraccezione deve essere ammessa, che i divorziati “risposati” (anche usando la balla ed il tranello che “tanto si può già divorziare nella Cattolica, basta passare per la Sacra Rota”, dimenticandosi che essa può solo certificare un matrimonio invalido in partenza) che continuano a persistere nel loro stato devono essere riammessi alla Santa Comunione, magari dopo un fasullo e a posteriori “percorso penitenziale”. Tutto un “deve essere fatto”, insomma, con tutti che devono accettare le loro condizioni senza discutere, altrimenti manderanno tutto in malora. Ma la Chiesa non chiedeva anzitutto filiale obbedienza ai suoi figli? Ma si rendono conto, lorsignori, che stanno letteralmente tentando Dio, in quanto pretendono che le cose siano come vogliono loro, arrivando a lordare la Chiesa pur di non ripulirsi loro stessi?

Senza contare, chiaramente, la vanità di un simile sondaggio: cosa dobbiamo richiedere su questioni che sono già state oggetto di pronunciamenti ex cathedra, e quindi dell’infallibilità pontificia? Al Sinodo di ottobre è possibile che riemergerà l’accesso di schizofrenia modernista e relativista tanto cara ai vescovi capitanati dal card. Kasper che dovrebbe risolvere questo problema, cioè la tesi secondo cui la prassi deve (ancora queste parole!) essere posta al disopra della Dottrina, quando invece la prima dovrebbe scaturire dalla seconda. Anche solo usando la logica, è facile capire che non è possibile pensare di fare del bene se non si sa per quale motivo e che cosa è il Bene; invece, emerge il contrario da certe dichiarazioni e da certi sondaggi, il che insinua il terribile dubbio: cioè che costoro appartengano, né più né meno, alla categoria dei sepolcri imbiancati.

Gente che, abbandonata ogni remora ed ogni residuo di cristianità, ha deciso che il plauso del mondo (mondo che, secondo san Paolo, è appannaggio di Satana) valesse ben più dell’essere cattolici. Dismessi i panni di cattolici, hanno indossato quelli di generici “fedeli”, in che cosa non si sa bene: fregandosene di tutto e tutti, men che meno del Cristo, hanno iniziato a muovere una loro guerra personale contro quella che, è bene ricordarlo, è mater accogliente ma anche magistra severa. O almeno, dovrebbe esserlo.

Perché in un’epoca di lassismo dottrinale e morale (quando non proprio di eresia, termine questo ormai bandito dal nuovo vocabolario clericalmente corretto) quale quella che stiamo vivendo adesso non soltanto ci sono personaggi che fanno i loro porci comodi continuando a proclamarsi cattolici, ma che ormai sostengono prassi e dottrine (o meglio, variazioni dottrinali camuffate da questa benedetta “pastorale”, pastorale che ormai sembra essere una sorta di credo e non, come dicevo sopra, procedente dalla Dottrina essa stessa) non poco ortodosse, ma ormai nemmeno più cattoliche; e, per i propri interessi, accantonano persino il Vangelo. In questo, sono aiutati da una moltitudine di “fedeli” generici, che ormai lo sono solo di nome ma che in realtà preferiscono sé stessi a Dio: tiepidi che fanno finta di essere cattolici, che a parole si dichiarano tali ma che poi, nei fatti, non solo fanno tutto il contrario di ciò che dovrebbero fare ma incitano anche allo scandalo ed allo scisma. Sepolcri imbiancati, insomma.

Termine, questo, usato dal Cristo proprio per indicare quelli che si fanno belli dinanzi al mondo, che apparentemente sono immacolati, misericordiosi, comprensivi (ma in realtà accondiscendenti), che godono del favore della gente e del sostegno sociale; in realtà, sono marci dentro come e più degli altri. Gente che non chiede determinate cose perché vorrebbe farle ma non può: quelle cose già le fanno e, invece di pentirsi delle loro azioni o di fuoriuscire da una Chiesa che sta loro stretta (con tutte le conseguenze per la loro anima), tengono il piede in due scarpe perché non sopportano l’idea che qualcuno possa disapprovare la loro lordura. Costoro hanno abbracciato ciò che non è cattolico, finendo per abbracciare il male, e questo non da ieri bensì da almeno quarat’anni; solo che ora, con la loro preponderanza, se ne apprezzano di più i risultati.

Membri dell’episcopato e semplici “fedeli” tirannici e pseudo-cattolici, che per anni e anni si sono curati più dei loro interessi (sovente economici e sessuali) che del Cristo, anzi usandoLo per i propri scopi, scopi questi spesso in aperta rotta di collisione con la Chiesa. Chiedendo più condivisione, più povertà, più umiltà, scambiando la Chiesa per una filiale dei centri sociali piuttosto che un’istituzione partecipe della regalità del Cristo, hanno svuotato le chiese per riempirsi le tasche e per fare ciò che più volevano quando meglio li conveniva, sovente; e ora pretendono, millantando uno scisma che se non canonicamente de facto è già realtà da anni, che la Sposa di Cristo dovrebbe ratificare i loro peccati, altrimenti le conseguenze per tutta la cristianità saranno terribili.

In realtà, le cose si metterebbero male soprattutto per loro, e non solo dal punto di vista spirituale e storico (basti vedere, ad esempio, la tremenda crisi che stanno subendo in questi anni proprio le confessioni protestanti tradizionali); sto pensando, ad esempio, alla ricchissima Conferenza Episcopale tedesca, dalle cui fila (non a caso) provengono i cardinali Kasper e Marx, punte dell’ala ultraprogressista (e cripto-protestante) cattolica. Se costoro fuoriuscissero dalla Chiesa perderebbero l’entrate della tassa di culto tedesca, rimanendo senza più un centesimo: da nessun’altra parte potrebbero, infatti, raggiungere una simile posizione come quella che detengono adesso, e lo sanno bene. Quindi, per questa gente il trucco non è mutare le proprie posizioni per aderire alla Chiesa di cui farebbero parte (se non per fede almeno per avidità), bensì, peggio ancora, la Chiesa deve mutare per avallare i loro porci comodi, e loro devono poter restare ben saldi dove sono.

Questo è il problema, oggigiorno, messo a nudo da quei questionari: non tanto l’eresia serpeggiante, quando non conclamata, tra il popolo di Dio, la superficialità, il desiderio di adottare una sorta di sistema democratico all’interno della Chiesa (per cui se la maggioranza dice una cosa oggi bene, se ne dice un’altra domani bene lo stesso; e dove va a finire il rapporto con ciò che è Eterno ed immutabile per definizione in un simile marasma?), bensì la mancanza di santità e di serietà. Con l’aggravante della seconda sulla prima: se la santità, difatti, scaturisce dalle virtù teologali e, quindi, a partire dalla fede e dalla carità, la serietà procede dalle virtù cardinali, che tutti gli esseri umani possono coltivare, anche coloro che non credono.

Santità vorrebbe che simili peccati venissero rifuggiti e schifati e che, qualora vengano commessi, si chieda perdono col proposito di non farli più; serietà vorrebbe che, se non ci si vuole scusare ma anzi, si pretende che venga avallato ciò che non può esserlo, si lasci per dignità personale (prima ancora che della gerarchia di cui si fa parte) l’istituzione in cui ci si aggira tronfiamente, accettando in entrambi i casi le conseguenze delle proprie azioni. Invece, adesso è tutto un lanciare il sasso e nascondere la mano.

Le bestemmie di Cameron

Sono cronaca di un paio di giorni fa le tremende esternazioni di David Cameron, il primo ministro britannico, in una sua dichiarazione alla CBS riguardo alla “libertà di blasfemia”. Cameron così si è espresso, riguardo al discorso del Pontefice inerente la necessità, talvolta, di alzare dei metaforici pugni contro coloro che dileggiano il Nazareno e, più in generale, le religioni:

“Io sono un cristiano, se qualcuno dice qualcosa di offensivo su Gesù, io posso trovarlo offensivo, ma in una società libera non ho il diritto di sfogare la mia vendetta contro di lui”.

e ancora, per rincarare la dose:

“Credo che in una società libera vi sia il diritto di causare un’offesa alla religione altrui”.

Da un certo punto di vista è vero, ha ragione: per il cristiano non esiste un diritto alla vendetta r il prossimo per aver offeso Dio. In fondo, durante la Passione, il Cristo ha ricevuto ogni genere di insulti, di sputi, di percosse: dalla canna in mano a mo’ di scettro fino alla corona di spine, dalle offese (vere e proprie bestemmie, perché rivolte proprio a colui che è Dio) alle percosse vere e proprie, sino all’innalzamento sulla pena più umiliante di tutti i tempi: la croce. Che sarebbe, infine, divenuta il trono ed il simbolo del suo trionfo: quell’antico simbolo di distruzione dell’individuo, inventato dai persiani proprio per assicurare non solo la morte del corpo ma anche dell’anima (la quale sarebbe stata condannata a vagare per sempre senza riposo), adottato dai romani come la pena più infamante di tutte, quella destinata agli schiavi ed ai rivoltosi, alla fine si sarebbe trasformato nel simbolo di speranza e di unione che i cristiani oggi venerano. Dio, si sa, riesce a scrivere dritto anche sulle righe storte della storia. In ogni caso, però, il Nazareno non ha risposto allo scherno dei suoi aguzzini distruggendoli bensì elevando dalla croce il grido “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.

Ma il fatto che io non debba vendicarmi rivolgendo le armi contro coloro che bestemmiano il Verbo incarnato non significa che simili aggressioni non siano atti di violenza, né che siano tollerabili o, peggio ancora, l’esercizio di un fasullo “diritto” (l’ennesimo) alla bestemmia. La bestemmia, a prescindere dal soggetto, è sempre una azione vergognosa, anzi è un’azione stupida: è stupida se ci credi nel soggetto della blasfemia (e Cameron dovrebbe crederci, essendo, almeno a parole, un cristiano), dato che sai che potresti ricevere la giusta mercede prima o poi e che Qualcuno te ne renderà conto; è doppiamente stupida se bestemmi colui in cui non credi, perché quelle offese sono dirette al nulla. Il fatto che io non creda ad Allah o a Zeus o a Shiva, ritenendoli “dei falsi e bugiardi”, non significa che senta la necessità di insultarli; al contrario, mi sentirei piuttosto stupido nel farlo.

Pertanto, in nessuna società deve esistere un “diritto” alla blasfemia, verso nessuna divinità: perché è un atto intrinsecamente violento e, comunque la si voglia mettere, stupido. Purtroppo, viviamo in una società che ha fatto dell’elogio dell’idiozia e del relativismo la sua raison d’etre; relativismo che non è semplicemente un giudizio di neutralità assoluta (e già questo è sbagliato), ma che è anche ormai una palese forma di denigrazione e di assalto verso chiunque affermi di conoscere la verità.

Il “diritto alla blasfemia” esiste solo nella mente di coloro che, come Cameron, vivono perfettamente inseriti in questo contesto di repulsione verso tutto ciò che è vero e buono, religioso nella sua accezione più alta; ecco quindi che il cristiano primo ministro inglese, dimostrazione vivente anche della deriva immorale e, paradossalmente, anticristica che la secolarizzazione ha fatto prendere alla confessione anglicana, può tranquillamente, da bravo relativista, sentirsi a posto con la coscienza dichiarando di sentirsi semplicemente “offeso” dalla bestemmia contro Colui che dovrebbe essere il suo solo Signore (altro che la regina Elisabetta II) e contemporaneamente difendere il “diritto” a bestemmiare, passando anche come un eroe presso le frange più secolarizzate della società britannica di cui è il premier. Insomma, il suo pensiero è l’espressione di un relativismo intollerante ed ubiquitario, che riesce ad unire ed a far coesistere in una sola persona assunti diametralmente opposti tra loro. Un vero e proprio bis-pensiero orwelliano, in cui si può credere in una cosa (“la bestemmia mi offende”) ed in una esattamente contraria (“la bestemmia è un diritto”, quindi una cosa buona) allo stesso tempo, senza sentirsi minimamente in imbarazzo o illogici ma, anzi, esaltati dall’approvazione popolare.

Pertanto, caro ministro Cameron, no, non esiste alcun diritto alla blasfemia: e non esiste proprio in virtù di ciò che ha fatto il Cristo. Non esiste neppure verso le divinità adorate dalle altre religioni, perché chi fa ciò dimostra la sua somma stoltezza; a maggior ragione quelle verso il Verbo incarnato, unico vero Dio. Come diceva san Tommaso d’Aquino “il fatto che noi dobbiamo sopportare le offese, non significa che dobbiamo tollerare quelle rivolte a Nostro Signore”.

Il Belgio, la Francia e la vanità

Quanto è accaduto in questi giorni, in Belgio, con la cellula terroristica scoperta e smantellata, come pure in Francia, con i tristi fatti che hanno coinvolto il triste giornaletto satirico “Charlie Hebdo” ed un negozio di cibi kasher, ci impongono a ripensare alcuni temi su cui, per troppi anni e con troppe motivazioni ideologiche, si è preferito glissare o tacere, magari in nome di un buonismo peloso che, in nome di un politicamente corretto e di un relativismo veramente odioso e, ormai, impossibile da sostenere, ha tentato di mettere a tacere le coscienze. Queste, invece, dovrebbero essere sempre vigili per non ricadere negli orrori che hanno contraddistinto il XX secolo; orrori che, lungi dal non potere più accadere, si stanno drammaticamente ripresentando sotto i nostri occhi stupefatti proprio in questi ultimi anni. Tuttavia, se la storia ci insegna una cosa è che essa tende a ripetersi, e che l’uomo di oggi non è né più intelligente né più capace di evitare gli errori dei propri antenati rispetto all’uomo di ieri.

Già, questo è il punto focale di tutto quanto è avvenuto: i fatti di questi giorni non erano imprevedibili, e soprattutto non sono opera né di pochi sbandati (come dimostra, emblematico, il caso del Belgio) né tantomeno di “poveri” immigrati che, giunti in una terra con usi e costumi che non possono comprendere, hanno perso la ragione: no, ciò che colpisce è come gli attentatori siano stati cullati e coccolati in seno ad un Occidente indulgente e permissivo; Occidente che ha fatto dell’accoglienza indiscriminata, della solidarietà pelosa e del politicamente corretto le proprie linee di condotta quando si deve rapportare ad altri popoli, anche grazie all’incapacità di certa Chiesa di riuscire a levare una voce autorevole (ed una eccezione lodevole in tal senso è, senza ombra di dubbio, rappresentata dal discorso di papa Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006, discorso contro cui si levarono, ipocritamente, voci di dissenso da parte di coloro che, proprio in questi giorni, stanno subendo le conseguenze di ciò che fu detto allora) ed a fare fronte comune contro le devianze e le scelte ideologiche dietro agli eventi degli ultimi giorni, in nome di un malposto senso di “tolleranza” e di “rispetto”. Tolleranza e rispetto, ormai, talvolta sfociati anche nell’aperto elogio della blasfemia da parte di alcuni membri del clero, come è accaduto a Parigi da parte di alcuni gesuiti appartenenti ad un famoso giornale (vedi qui).

Tornando al discorso di prima, ad ogni modo, ciò che colpisce è proprio questo: i terroristi, o aspiranti tali, non erano immigrati clandestini o imam iraniani arrivati in Europa da uno o due anni, convinti di essere finiti a Babilonia o, peggio ancora, a Sodoma. No, erano cittadini per diritto di nascita dei Paesi che intendevano colpire, di seconda o terza generazione o addirittura occidentali convertiti all’Islam. Questo è il segno più radicale di una verità sconcertante, una verità che l’Occidente post-cristiano non vuole e non può accettare: l’integrazione non ha fallito, non c’è stato un deficit di integrazione, bensì si è compiuta pienamente e questi ne sono i risultati. Giovani che, dopo aver studiato, frequentato palestre, essere andati al cinema, al ristorante, al bagno persino ed in qualche caso, suppongo, pure a letto con degli occidentali, magari persino con qualche parente (o più di qualcuno), acquisito o meno, europeo, non hanno sviluppato un benché minimo senso non dico di gratitudine, ma almeno di appartenenza verso i Paesi che ospitarono i loro padri e, talvolta, i loro nonni. Costoro hanno vissuto, hanno sfruttato le ricchezze dei Paesi in cui vivevano, usandoli per raggiungere un benessere ed un progresso tecnologico che nei luoghi da cui provenivano, i “paradisi della shari’a” che avrebbero voluto esportare in Europa, non avrebbero mai potuto nemmeno immaginare. Hanno, letteralmente, parassitato quei Paesi, usandoli e guardandosi bene da diventare altro se non magrebini, come i loro padri o nonni: giammai sarebbero diventati francesi, o belgi. Perché per costoro l’Occidente post-cristiano è un’enorme Sodoma (e su questo, forse, tutti i torti non hanno, basta vedere ad esempio la Svezia ed un certo terrificante cartone animato, ai limiti della pedofilia se non li ha già passati), debole e patetica, amorale insomma quando non proprio sprezzantemente immorale: ne è stata prova per loro l’impiego di 90000 poliziotti (che ciò sia vero o meno, poco importa; questi sono stati i dati proclamati, con imbarazzante orgoglio, dai francesi) per catturare tre terroristi, ne sono prova anche le discussioni, in queste ore, sui patetici metodi che i discendenti degli antichi Galli vorrebbero usare per salvare, se non la patria, almeno la faccia: si va dall’obbligare di cantare la Marsigliese (altro frutto di quell’evento terrificante e sanguinario noto come Rivoluzione francese) all’insegnare una sorta di “morale laica”, con tanto di libretti stampati.

Ora, io mi chiedo: a cosa pensavano la ministra Vallaud-Belkacem e i sette ex-ministri della cultura da lei radunati quando sono state avanzate simili proposte? Credono davvero che, per far fronte alla ormai plurisecolare minaccia all’Occidente che, in questo momento, preme anche all’interno dello stesso, basti semplicemente far cantare agli alunni la Marsigliese? O che gli islamici radicali, cittadini di seconda-terza generazione, rinunceranno alle loro mire ed ai loro desideri per aver letto un libretto in stile UNAR, quando neppure il laicismo più spinto, la secolarizzazione più assoluta e l’ateismo più militante sono riusciti anche solo a rallentarli nei loro propositi? Crede davvero, il ministro assieme ai suoi consiglieri, di poter fare ciò che non riesce più neppure alla Chiesa (o almeno, ad alcuni prelati, ché nel mondo grazie a Dio vi è anche fior di clero con la testa sulle spalle), ovvero essere una alternativa credibile ed efficace al pensiero islamico radicale?

Non è un caso, infatti, che questi avvenimenti ed i problemi che coinvolgono la difficile convivenza delle comunità islamiche con il resto della società in Francia, Belgio ed Inghilterra (la quale anch’essa si è distinta per il numero di combattenti islamici andati in Siria per arruolarsi fra le fila dell’ISIS, oltre che per gli attentati di qualche anno fa) si siano svolti e continuino ad avvenire proprio sorte in quei Paesi che, in nome del politicamente corretto e di una visione buonista e colpevolista (spesso derivante dai sensi di colpa nei confronti del loro passato coloniale e da uno sciocco senso di superiorità morale, confondendo, probabilmente, l’amoralità ed il moralismo con il raggiungimento di una nuova frontiera della moralità stessa), quando non dichiaratamente autolesionista, della società e dell’integrazione, hanno permesso a costoro di fare tutto ciò che volevano fino a creare pericolose società parallele, dove i tribunali della shari’a possono fare ciò che vogliono senza che le autorità statali lo sappiano o quasi. Questi Paesi, infatti, ormai sono non solo post-cristiani, ma proprio ex-cristiani: Dio è stato messo in cantina, favorendo la fiera degli atteggiamenti vani quali, ad esempio, la fissazione per i nuovi “diritti” e l’accondiscendenza nei confronti di tutti. Di tutti, meno che dei cristiani, ovviamente, “colpevoli” di non assecondare la nuova visione relativista ed, in ultima analisi, buonista della realtà. La vanità, in effetti, dell’Occidente ex-cristiano è proprio questa: illudersi che gli inesistenti e pretestuosi “nuovi diritti” e la secolarizzazione galoppante potranno frapporsi fra loro e gente motivata ed aggressiva, spinta da una fede che non scende a compromessi.

Ecco quindi perché si pensa che dei corsi con libretti di “morale laica”, da affiancare magari ai famigerati corsi di “educazione (omo)sessuale”, e magari di obbligare a cantare in classe una canzone rivoluzionaria possano salvare la Francia e magari il resto dell’Europa: perché soltanto questo è ciò che l’Occidente post-cristiano può interporre all’avanzata dell’Islam militante (e militare) oggigiorno. Si tratta, in sostanza, proprio di una parodia di quella religione che ormai è schifata un po’ ovunque e che, in nome della “laicità” ovviamente, deve sparire dalle scene pubbliche: al posto dei Dieci Comandamenti dei libercoli con sopra scritto quali sono i comportamenti “giusti” e “sbagliati” (ma senza un riferimento che spieghi perché sono tali), al posto dei Sacramenti il nuovo sacramento “laico”, e pure ecumenico all’ennesima potenza, cioè il sesso in tutte le sue forme e con chi più aggrada, al posto degli inni sacri La Marsigliese, eletta a nuovo Te Deum dalla Francia. La quale non si rende conto di non celebrare così la propria grandezza, ma soltanto la propria caduta.