Prima di cominciare a scrivere quest’articolo, sono necessarie un paio di premesse: anzitutto, se questo articolo vi sembra, già nel titolo, poco evangelico, potrete tranquillamente saltarlo. Non mi interessano le solite chiacchiere buoniste, per cui si fanno dire al Cristo cose che non solo non si trovano scritte nei Vangeli ma, per giunta, Lo si cerca di far passare per una sorta di bonaccione un po’ hippy un po’ effeminato, da peace and love e tutto il corredo laicisticamente corretto (o perfetto?): se qualche apologeta del dialogo a tutti i costi ha dei problemi col mio discorso, rifletta pure su Matteo 10 e passi oltre. Allo stesso modo, se le mie parole vi sembrano troppo dure, troppo da esaltato o da meritare simili aggettivi siete pregati di ignorare questo articolo, magari anche lo stesso blog, vi consiglio però di farlo solo dopo aver letto la parte relativa allo scandalo (presunto) da parte del Cristo in Giovanni 6.
Detto questo, inauguro la trilogia del martirio: in altre parole, di ciò che la Chiesa odierna, o perlomeno la maggior parte dei suoi fedeli, sembra essersi dimenticata e, quando se ne ricorda, lo disprezza. Il martirio: tutti i cristiani dovrebbero essere martiri. Ma non martiri come i terroristi che si fanno saltare in nome di Allah: no, proprio martiri del Cristo, come comandato dal Signore. Cioè testimoni, anche senza passare dalla persecuzione e dalla morte fisica. Oggigiorno più di ieri, con un Occidente ormai post-cristiano ed invischiato in un politicamente corretto ancora più letale dei proiettili dei membri dell’ISIS, il martirio è richiesto ad ogni cristiano: “martire”, difatti, significa “testimone” nella lingua greca. E testimone di cosa, se non del Cristo crocifisso, quello che san Paolo chiamava “scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani”? Di cosa, se non della bellezza e della ragionevolezza della fede, della sapienza divina, dell’amore e del timore di Dio? Tuttavia, ancora oggi, molti martiri non sono solo testimoni tangibili dell’azione di Dio in mezzo agli uomini, araldi che si occupano di proclamare il Verbo in ogni dove, “gridando la verità dai tetti” come diceva san Giovanni Paolo II, profeti dell’Unico, Vero Dio: sono anche uccisi e massacrati, nell’indifferenza non solo del mondo, che da sempre odia i cristiani, ma anche degli stessi fratelli nella fede, i quali ormai vanno sempre più spesso a braccetto con esso. Ma affronterò la questione più avanti, in un altro paragrafo; per adesso, torniamo ai nostri martiri. A fianco di costoro, uccisi e perseguitati in ogni parte del mondo anche da appartenenti a religioni stoltamente ritenute pacifiche (o pacifiste, che è peggio) dall’Occidentale ex- e post-cristiano medio, cioè induisti e buddhisti al fianco dei tristemente famosi islamici, si aggiungono anche tutti coloro che, nella vita di tutti i giorni, non dimenticano di essere cristiani e scelgono di non rinnegare il Cristo neppure dinanzi alle offese ed agli insulti di gente imbevuta di anticlericalismo da bar e di scientismo da quattro soldi. Se in tutto il mondo ci sono cristiani che vengono considerati cittadini di serie B o persino dei subumani, da saccheggiare, picchiare, stuprare ed anche uccidere a piacimento, anche a casa nostra (almeno per ora) ci sono martiri silenziosi, bianchi per così dire: gente che viene offesa e contestata, la cui fede viene denigrata in ogni dove, dalle aule universitarie (vere turbine che spingono avanti la nave delle vecchie e nuove leggende nere anticattoliche) sino al bar sotto casa. D’altronde, purtroppo, questo è ciò che accade: Satana è il principe di questo mondo, Satana odia i cristiani, dunque il mondo odia i cristiani. Non è vittimismo stitico, rinverdire tempi passati mai esistiti e che mai esisteranno o credere in leggende medievali, bensì una semplice constatazione dei fatti, che si trova sin dall’inizio del cristianesimo e che non è mai declinata, neppure in Occidente. Solo che, adesso, questa sindrome si è nuovamente acuita.
Ma torniamo ai nostri martiri di sangue, i primi dei quali risalgono dritti dritti agli albori del cristianesimo, proprio a testimonianza della veridicità di ciò che ho appena scritto: accusati dai Romani di essere dei cannibali e dei sacrileghi e, soprattutto, di non voler rendere culto divino all’imperatore bruciando qualche grano d’incenso in suo onore, venivano catturati nelle loro case in apposite retate, denudati, gettati in cella e, dopo qualche tempo, nell’arena, dove venivano sottoposti a “simpatici” supplizi quali l’essere arrostiti vivi sulla graticola, fatti sbranare da belve ed animali appositamente inferociti o lottare contro i gladiatori a mani nude. Alcuni, come quelli che finivano nelle grinfie di Nerone, venivano impalati e poi cosparsi di pece a cui veniva data fuoco, più spesso però affrontavano la tortura della crocifissione. I più fortunati, cittadini romani anche appartenenti alle classi più agiate (contrariamente a quanto si crede comunemente, una discreta percentuale dei primi cristiani era abbiente e socialmente influente), venivano invece decapitati. E non è sano chiedersi cosa venisse fatto alle donne prima di tutti questi tormenti, anche se l’agiografia e la storia ne hanno lasciate alcune tracce. Tutto questo, però, quei cristiani, allo stesso modo di quelli di oggi, che vengono massacrati dai fasulli e violenti daesh dell’ISIS, lo sopportavano, affatto in silenzio (pregavano per e ribattevano ai loro aguzzini, ad imitazione del Cristo), in onore del Signore e per la salvezza delle anime: le proprie e quelle dei loro persecutori, tanto per cominciare.
Ora, la domanda è: perché quei cristiani andavano incontro alla morte, pur di non compiere l’atto assolutamente esteriore (anche per gli stessi cittadini romani) di rendere omaggio all’imperatore? La risposta è terribile nella sua semplicità, ed inquietante per la mentalità dialoghista ed ecumenista odierna: Dio vuole tutto, anche e soprattutto l’adorazione. Adorare, anche solo per paura e non per fede, un altro dio significa non essere degni di Lui e rischiare di dannarsi. Di questo sono perfettamente consci i martiri di ieri o di oggi: che si tratti dell’imperatore di Roma o dei barbari dell’ISIS che vogliono costringerli a convertirsi ad Allah, la musica non cambia, sempre di false divinità e del Cristo si parla.
Ora, questo atteggiamento è considerato folle da buona parte dei membri della Chiesa odierna, per cui il mondo è un parco gioco ed è la Chiesa a doversi adattare agli uomini, non il contrario, macché. Anzi, chiunque osi parlare, anche timidamente, di eretici e di infedeli a cui bisogna annunziare il Vangelo e sottrarli dai loro errori, secondo il mai abrogato extra ecclesiam nulla salus basato, a sua volta, sul monito del Cristo di predicare il Lieto Annuncio e battezzare tutte le genti, oggigiorno viene guardato nel migliore dei casi con sospetto, come se fosse un fanatico guerrafondaio e fascista, nel peggiore come un eretico (lui!) che vuole “riportare indietro la Chiesa al pre-Concilio”, da sottoporre al pubblico ludibrio e scomunicare. Il problema, però, è che questo atteggiamento ha portato (almeno in Occidente, dove soprattutto le alte cariche cattoliche non rischiano, nella vita di tutti i giorni, di beccarsi un proiettile o, quantomeno, un bell’insulto sulla faccia) all’incremento tra le fila della Chiesa, sia tra laici che tra chierici, di quelli che si possono senza dubbio alcuno definire Giuda moderni.
Gente che, come Giuda vendette il Cristo per trenta denari, non si fa scrupolo di dare giudizi temerari e di venderlo nuovamente per ottenere favori politici e sociali (e, in certi frangenti, anche economici e sessuali, tanto gira e rigira si va spesso a finire lì), infischiandosene dello scandalo che danno ai piccoli e delle conseguenze delle loro azioni sulle anime del prossimo. Tanto, in certi casi manco credono in ciò che insegna la Chiesa, figuriamoci! Tra questi esemplari di clericalismo marcescente, di Chiesa ridotta a mero partito politico o, peggio ancora, a banca che finanzia il loro non fare niente tutto il giorno, men che meno adoperarsi per la salvezza delle anime, in cui tutto è permesso e nessuno ha diritto di riprenderli quando tengono, chiamiamole così, delle condotte nel migliore dei casi eterodosse, spiccano per demerito i vescovi cileni i quali, il 17 gennaio di questo anno, hanno ordinato (diciamo così) il vescovo Moises Contreras Athisa in un rito sincresta in cui ha partecipato un “sacerdote” del dio inca Tata Inti, con tanto di preghiera al Sole e di ghirlande intorno al collo. Tralasciando la mancanza di dignità per aver partecipato ad una simile pagliacciata da parte di coloro che dovrebbero essere princeps Ecclesiae, principi della Chiesa, nonché l’inquietante scoperta della ripresa di simili culti in una terra, almeno nominalmente, cristianizzata, quanto perpetrato da questi vescovi è vergognoso: vergognoso anzitutto nei confronti di Dio e dei Suoi martiri di sangue, di ogni tempo e di ogni terra, ma poi anche di tutto il resto della Chiesa, militante, purgante e trionfante. Sembra di udire i martiri gridare “a cosa è servito il nostro sacrificio? A cosa serve morire proclamando che il Cristo è la Via, la Verità e la Vita quando dei suoi ministri, per il plauso del mondo, s’inchinano dinanzi ad idoli ed amenità varie? A cosa è servito morire per amore del Signore quando che si tratti del Nazareno, di Allah o di Tata Inti è sostanzialmente la stessa cosa?”. Domande terribili, che pesano non solo su questi monsignori ma anche su tutti noi come macigni, che ci ricordano che tutti noi cristiani dobbiamo essere martiri, testimoni, ad imitazione del primo, vero Martire, il Cristo, non imitatori di Giuda e desiderosi, ieri come oggi, di vendere il Figlio di Dio per trenta denari.