Incontro casuale di un pomeriggio primaverile

Per alleggerire (in apparenza) le tematiche di questo blog, voglio raccontare un  fatto che mi è appena accaduto: di ritorno da una delle mie usuali passeggiate pomeridiane, vengo fermato da una giovane donna avvolta in un abito lungo. Inizialmente penso che si tratti di una sorta di abito da cocktail, accecato come sono dal sole pomeridiano dritto nella retina; poi guardo meglio e mi rendo conto che si tratta di una specie di sari, l’abito tradizionale indiano. Riesco a schiarirmi gli occhi e guardo in faccia la mia interlocutrice: è chiaramente italiana, sotto i trent’anni, con una sorta di strano simbolo a forma di U dipinto in fronte con quella che sembra essere argilla. Si presenta, io pure; mi dice di essere di un non meglio precisato “monastero” vicina alla mia città. Dal momento che in quella località c’è soltanto un convento, e questa signorina non mi sembra essere esattamente una suora (almeno dall’abbigliamento, ma non si sa mai cosa può venir fuori dalle nuove mode catto-progressiste…), comincia a sorgere in me il sospetto, sospetto infine confermato: ah, ecco, è una Hare Krishna, che cerca di spacciarmi dei libri sullo yoga “provenienti dall’India” (l’autore o la traduzione in italiano? Boh) all’interno di un non meglio precisato “invito alla lettura”. Gratuitamente, è chiaro. Al che gentilmente rifiuto e mi ritiro, dicendo che ciò “non fa per me”, anche per evitare di scatenare le solite polemiche (ché tanto so per esperienza che le altre comunità religiose sono tutto meno che aperte al dibattito, basti vedere certi miei trascorsi con una comunità evangelica vicino a dove mi trovo; questo anche se trovano molto utile farsi passare per tolleranti ed “aperti”, ma sto divagando).

Ora, gli spunti di riflessione: anzitutto, questa signorina era italiana, molto probabilmente (presumo) quindi o nata da genitori apostati o apostata essa stessa; e questo ci dovrebbe dire qualcosa riguardo agli italiani che, non trovando più il sacro in chiesa, si rivolgono così ad altre religioni e dottrine che possono “saziare” (almeno, così credono) questo bisogno innato nell’uomo. Poi che, a prescindere dal fatto che nella Chiesa il proselitismo (che poi bisogna vedere cosa si intende per “proselitismo”, in realtà) sia ritenuto una “solenne sciocchezza” ciò non implica che questa gente in realtà non lo usi abbondantemente, ottenendo (purtroppo) anche dei risultati. Infine, la strategia di approccio (su cui voglio rimarcare particolarmente): non si è presentata come “ciao, mi chiamo Y e sono una Hare Krishna di X, posso parlarti del nostro Divino Fondatore?”, bensì non ha minimamente accennato a questo aspetto, anzi ha usato dei termini e dei concetti familiari (anche se per lo più superficialmente) all’occidentale medio, conscia del fatto che se si fosse messa a parlare di Divini Fondatori, di Krishna e di meditazione probabilmente la conversazione sarebbe stata troncata subito con un “no, non m’interessa” prima ancora di cominciare. Vedete, questo è più che indottrinamento e proselitismo di strada: è furbizia. Furbizia che manca parecchio all’interno della predicazione e della testimonianza (anche laica, quest’ultima) cattolica, per cui si pensa che stando a chiacchierare parecchio invece che rimandando all’Essenziale, che usando verbosità e tanti discorsi si possa “intortare”, e quindi spingere alla conversione, “l’uomo della strada”; il quale invece di solito è una creatura istintiva, ed appena sente parlare di qualcosa che non gli torna ti manda a quel paese.

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