La liberazione di Kobane, piccola città al confine tra Siria e Turchia, avvenuta pochi giorno fa ad opera delle milizie curde contro i tiranni dell’ISIS, sicuramente ha segnato il morale delle truppe islamiste. La città di frontiera è stata presa da assedio dalle milizie islamiche alla fine di settembre; da allora sono passati ben quattro mesi, ma infine i curdi, che sono giunti in massa in soccorso dei loro fratelli siriani attraversando il confine turco, sono riusciti ad avere ragione degli assalitori, al prezzo però di un vero e proprio bagno di sangue: 1600 persone sono morte negli scontri, inclusi 459 combattenti curdi e 32 civili. Nonostante tutto, grazie anche ai 17 bombardamenti avvenuti da parte statunitensi nella regione nelle 24 ore prima della fine dell’assedio (i quali, ovviamente, per continuare a tenere il piede in due scarpe, stanno tuttora continuando ad addestrare 1500 potenziali jihadisti), il tricolore ha sventolato sulla città rimpiazzando gli stendardi neri degli aggressori del fantomatico, fasullo e brutale, “Stato islamico”.
Nonostante ciò, la sconfitta dell’ISIS in questa piccola città, certamente non fondamentale per la riconquista ed il controllo dell’Iraq e della Siria, ormai in parte controllati dai macellai che hanno fatto della tortura e del brutale omicidio i loro biglietti da visita, lascerà un segno indelebile nelle menti e nei cuori dei miliziani islamici. Questi erano convinti, infatti, di poter estendere il loro presunto califfato incontrando poca o nessuna resistenza (anche per colpa degli eserciti regolari locali, spesso inadatti ad affrontare fanatici motivati e che fanno ampio uso delle tattiche di guerriglia) sino al confine con la Turchia; invece hanno dimostrato, agli occhi del mondo, oltre alla loro barbarie ed alla loro sete di sangue anche la loro fallibilità e l’essere tutt’altro che invincibili: infatti, gli aggressori hanno perso oltre il doppio degli uomini rispetto ai difensori cristiani. Kobane era stata al centro di una forte propaganda islamista, che ne vedeva una tappa obbligata per schiacciare “i crociati” (così costoro chiamano i cristiani, secondo una vulgata fondamentalista nata agli inizi del XX secolo ma che non ha alcuna base nell’Islam storico) prima dell’espansione verso Gerusalemme e Roma. Pertanto, la riconquista della città avrà certamente effetti duraturi ed importanti sul morale dei tagliagole che per troppo tempo, e con la colpevole complicità di un Occidente mediatico ed opulento, che ha atteso mesi prima di intervenire in quello che, era chiaro, si stava rapidamente trasformando in un genocidio delle minoranze cristiane, hanno potuto fare ciò che desideravano in quella parte del mondo al grida di “Allahu akbar”.
Sebbene certamente non sia possibile esultare per il prezzo di sangue pagato, sia da una parte che dall’altra, è chiaro che questa legittima difesa ha contribuito a ridare una speranza agli oppressi sotto il nuovo regime, regime più volte sostenuto proprio da parte di coloro che, almeno formalmente, si oppongono ad Assad, immemori (spesso neppure innocentemente, come nel caso ad esempio alla Turchia sunnita di Erdogan ed alle sue mire espansionistiche a spese della Siria sciita) di cosa abbia voluto dire il crollo delle dittature nel Golfo per le minoranze che vivevano in quei Paesi islamici. Soprattutto, bisogna avere il coraggio di affrontare la realtà: l’ISIS non è composto da poche centinaia di esaltati, bensì si tratta di una forza para-militare con migliaia di adepti che è arrivata a controllare circa un terzo della Siria e che mira a replicare l’espansionismo islamico del VII secolo, che ha arruolato tra le sue fila un numero non trascurabile di miliziani provenienti da famiglie islamiche che vivono in Occidente anche da un paio di generazioni.